Dal batik all’Art Nouveau. Il filo che unisce oriente ed occidente

Dal batik all’Art Nouveau. Il filo che unisce oriente ed occidente

Finalmente al Museo delle Culture di Milano va in scena una mostra dedicata al mondo tessile. Art Nomade Milan l’ha visitata per voi

Come ben sapete quando posso recensire mostre dedicate all’arte tessile lo faccio con estremo piacere…e se si tratta di culture extra-europee ancora di più 😉

Fino al 26 Agosto il MUDEC di Milano ospita un’esposizione gratuita dal titolo estremamente evocativo: “Dal batik all’Art Nouveau. Il filo che unisce oriente ed occidente“. 

Dal batik all’Art Nouveau. Il filo che unisce oriente ed occidente.

Promossa dall’Associazione CULTURAL PATHS e curata da Laura Todeschini e Giulia Ceschel,  la mostra illustra la storia e la lavorazione dei batik, tessuti di cotone tinti a riserva. 

In realtà i primi frammenti di batik rinvenuti dagli archeologi in Egitto sono in lino.

Le molte stoffe esposte al MUDEC provengono in gran parte dalla raccolta di Sergio Feldbauer, appassionato ricercatore che tra gli Anni Settanta ed Ottanta si è recato spessissimo in Indonesia.

Dal batik all’Art Nouveau. Il filo che unisce oriente ed occidente.

Il percorso espositivo parte dunque dall’Asia, in particolare dall’isola di Giava, dove ha origine la parola batik (in malese: goccia), per poi proseguire in altre zone del globo come l’Africa ed il medio-oriente.

Si hanno infatti tracce di questa produzione anche tra le popolazioni Youruba della Nigeria e Soninke del Senegal, mentre in alcune comunità arabe i batik erano denominati kaligrafi arab.

La retrospettiva evidenzia in maniera approfondita come i tessuti siano diventati una vera e propria forma di comunicazione con decori dai precisi significati e valori.

Addirittura nei sultanati, kraton, dell’isola indonesiana era proibito riprodurre alcuni temi in quanto destinati solo alla famiglia reale.

Esistevano perciò batik di “corte” e batik “rurali” e la tecnica era già utilizzata nel tredicesimo secolo. 

Si diceva che indossarli ponesse in armonia con l’universo.

Il batik e l’Art Nouveau. Il filo che unisce oriente ed occidente. 

Nel progetto curatoriale viene messo in luce il ruolo delle donne, custodi dei segreti della tintura parziale e dei coloranti naturali da utilizzare.

Tintura parziale?! 

Ebbene sì: per ottenere i batik bisogna impermeabilizzare tramite cera od altro composto una parte della stoffa in maniera tale che solo alcune zone prendano colore.

Il tessuto dunque non è solo un genere di prima necessità prodotto in maniera artigianale, ma un mezzo per raccontare la propria cultura ed usanze. 

Ancora oggi i vacanzieri che si recano in Indonesia tornano a casa con questi coloratissimi souvenir. In realtà il loro significato è profondo, un filo che dall’Asia si dipana fino ad arrivare all’Europa.

Infatti, come accaduto per i tessuti wax della Vlisco di cui avevo parlato nell’articolo dedicato ad Africa Africa, i tessuti batik si sono diffusi grazie ai mercanti olandesi in alcune aeree del continente africano e poi anche in Europa.

Si suppone addirittura che i tessuti wax derivino proprio dai batik

In realtà l’arrivo nel vecchio continente lo si deve attribuire in primis ai portoghesi e poi agli inglesi, assidui frequentatori del sud-est asiatico alla ricerca soprattutto delle spezie.

Con il fiorire nel vecchio continente della corrente artistica dell’Art Nouveau, definita Liberty in Italia, Jugendstil in Germania, Sezessionstil in Austria, Nieuwe Kunst in Olanda, il rapporto tra tessile asiatico ed Europa diviene sempre più stretto. 

Dal batik all’Art Nouveau. Il filo che unisce oriente ed occidente. 

Lo stesso William Morris, padre dell’Arts & Crafts, nella fabbrica da lui fondata produceva batik

Così, nei primi decenni del Novecento, la produzione di questi tessuti assunse linfa vitale e spirito creativo sia in Europa che nei paesi d’origine. 

L’incontro tra Oriente ed Occidente contribuì a creare un nuovo gusto. 

L’importanza fondamentale dei batik é stata riconosciuta anche dall’UNESCO che nel 2014 li ha inseriti tra gli Intangible Cultural Heritage, patrimonio culturale immateriale. 

Non si poteva dunque scegliere una sede migliore per narrare questa storia. 

Il MUDEC, Museo delle Culture, già dalla sua fondazione nel 2015 si è posto come obbiettivo la valorizzazione delle differenti culture, delle loro connessioni e relazioni. 

Dal canto suo l’Associazione CULTURAL PATHS si propone di riattribuire importanza alle manifestazioni culturali ed artigianali che rischiano di sparire a causa della globalizzazione imperante. 

La mostra, ad ingresso gratuito, merita davvero una visita 🙂