Un weekend…a tutto WAX – Art Nomade Milan

Un weekend...a tutto WAX - Art Nomade Milan

Domenica 19 Maggio, al C.I.Q. di Cascina Casottello, Anne Grosfilley ha introdotto i partecipanti nel magico mondo del Wax

Che dire…Art Nomade Milan non poteva essere più contenta di così 😉

In un pomeriggio piovoso Cascina Casottello mi ha riscaldato il cuore: ecco a voi la dedica dell’autrice su un volume a cui tengo tantissimo.

Un weekend...a tutto WAX - Art Nomade Milan
Un weekend…a tutto WAX – Art Nomade Milan

Ma cosa sarà successo?!  Ve lo spiego subito 😉

Finalmente l’antropologa francese Anne Grosfilley ha tenuto a Milano una conferenza sul suo libro “Wax & co. Antologia dei tessuti stampati d’Africa“.

Anne è stata da poco interpellata perfino da Maria Grazia Chiuri, direttrice creativa della maison Dior

Il brand ha scelto di introdurre nella Cruise Collection 2020 capi prodotti in tessuto Wax. Così i designer dell’azienda ivoriana Uniwax SA hanno reinterpretato 42 fantasie iconiche Dior declinandole in puro stile afro.

La collezione è stata presentata ad inizio mese a Marrakech.

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Un weekend…a tutto WAX – Art Nomade Milan. Dior Cruise Collection 2020

Dunque tessuto Wax (si legge “uax”)…ma cosa si intende con questo termine nello specifico?!

Si tratta di tele di cotone, stampate a cera con riserva, dai colori sgargianti e ricche di simboli.

Anne ha iniziato ad appassionarsi al tema da giovanissima e, prima del volume dell’Ippocampo, aveva già raccolto le sue ricerche in un precedente libro.

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Un weekend…a tutto WAX – Art Nomade Milan. Esempi di fantasie Wax

Il tessuto Wax è diventato uno dei simboli del continente proprio perché la sua origine non è africana. È riuscito a mettere d’accordo i 54 stati di un territorio troppo spesso martoriato dai conflitti.

Il suo essere estraneo gli ha permesso di superare i dissidi ed innalzarsi a simbolo panafricano. Passaggio non riuscito a tessuti 100% made in Africa quali il kente ghanese o il bogolan del Mali, troppo sacralizzati dalle rispettive culture per essere adottati anche dagli altri.

Del resto il Wax è per antonomasia il tessuto dell’incontro: nato in Indonesia (pensiamo al tessuto batik), viene prodotto in Europa (Olanda od Inghilterra) ed utilizzato in Africa.

Furono proprio i mercanti olandesi che intuirono l’appeal che tal tipo di stoffa avrebbe avuto sui consumatori africani.

Così le fantasie acquisirono man mano significati differenti rispetto a quelli originari, diventando una vera e propria forma di comunicazione non verbale.

Emblematico è l’esempio del cosiddetto kwadusa: in Indonesia simboleggiava l’uccello sacro (probabilmente il pavone), mentre in alcuni stati africani è stato assimilato ad un casco di banane o ad una lumaca senza guscio. Molto spesso l’interpretazione dei simboli cambia nel tempo, arricchendosi di ulteriori significati.

In Ghana il kwadusa è simbolo dell’indipendenza del paese.

A volte alcuni modelli vengono ritirati dal mercato, per poi apparire dopo molti anni, seguendo delle vere e proprie strategie commerciali.

Ogni tanto nascono anche nuove rappresentazioni legate a fatti di cronaca, come la fantasia dedicata ad una borsetta utilizzata durante una visita di stato da Michelle Obama.

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Un weekend…a tutto WAX – Art Nomade Milan. A sinistra fantasia cosiddetta “Michelle Obama’s Bag” (courtesy of Vlisco) e a destra fantasia definita “kwadusa”.

Così i temi dei batik asiatici vennero stilizzati, prodotti in Olanda e fatti arrivare in Ghana, dove la popolazione li considerò tessuti di lusso. Da lì si è avuta una diffusione a macchia d’olio.

Tanti significati…ma anche molti metodi per indossarli 😉

Sapevate che fino al 1930 le macchina da cucinare e le forbici non erano diffuse nel continente?

Ecco perché il Wax non veniva tagliato, ma indossato drappeggiato.

Ogni piega aveva un ben preciso significato, come quella sui fianchi che definiva una donna rispettabile e sposata.

Addirittura nel 1987 venne indetto in Costa d’Avorio il concorso “Forbici d’Oro” per svecchiare lo stile tradizionale. 

La storia del Wax è anche una storia di empowerment femminile.

In molti stati sono infatti le donne a commerciare nel tessile. Ognuna di loro può acquisire in esclusiva una fantasia e diventare l’unico intermediario tra la fabbrica di produzione e i singoli punti di smercio nei vari stati.

Il trionfo del Wax è stato così il trampolino di lancio verso l’indipendenza economica di molte di loro, come le famose Nana Benz del Togo.

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Un weekend…a tutto WAX – Art Nomade Milan. Locandina del documentario del regista tedesco Thomas Bo:ltken, dedicato al fenomeno delle Nana Benz. 

Si dice che le commercianti tessili togolesi (Nana) abbiano assunto questo appellativo in quanto molto spesso si compravano, grazie ai proventi delle vendite, delle vetture Mercedes.

È interessante osservare come il Wax non sia ugualmente famoso in tutti gli stati africani: in Senegal, ad esempio, paese a maggioranza musulmana, non esistono equivalenti delle Nana Benz.

Dunque il Wax si conferma un importante strumento per studi sociali, di comunicazione ed antropologici.

Indossare una determinata fantasia significa trasmettere un messaggio ben preciso.

Le “unghie di Madame Thérèse“, ad esempio, sottolineano la forza caratteriale della donna.

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Un weekend…a tutto WAX – Art Nomade Milan. Fantasia definita “unghie di Madame Thérèse.

Ma ormai, vista la sfrenata globalizzazione, parlare di Wax non significa trattare solo dei rapporti tra produttori europei e consumatori africani. Un altro intermediario, dal 2004, si è aggiunto alla catena: la Cina.

La repubblica popolare ha compreso quanto sia importante il mercato del continente già molto tempo fa.

Oggi il 95% del Wax in circolazione proviene proprio dalla fabbriche cinesi, che hanno addirittura creato un Wax sintetico.

Così, le seppur poche industrie africane hanno chiuso o ridotto la loro produzione solo ad alcuni passaggi. 

Cotone coltivato, filato, trasformato in tessuto e stampato esclusivamente in Africa è davvero una rarità.

La fabbrica togolese Togotex, ad esempio, si occupa solo di stampa su materiale proveniente dall’estero.

Anche molto aziende inglesi hanno chiuso, mentre il colosso olandese Vlisco ha incrementato i prezzi dei proprio prodotti ed ha creato un tessuto Wax ancora più lavorato e spesso: il Super Wax.

Ma quali sono i trucchi per riconoscere un Wax effettivamente stampato a cera con riserva?

Di certo non le scritte “100% original Wax” che compaiono anche sugli scampoli a basso prezzo.

Vi svelerò dunque ciò che Anne ci ha rilevato: un original Wax presenta leggere screpolature (craquelure), i disegni impressi non sono mai identici gli uni con gli altri e i modelli cinesi hanno colori molto più accesi.

Insomma, il “100% original Wax” è connaturato dalle “perfette imperfezioni” 😉

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Un weekend…a tutto WAX – Art Nomade Milan. Anne Grosfilley spiega come riconoscere un Wax autenticamente stampa a cera con riserva. Courtesy of “Lo Sguardo degli Altri” e “A different eye”.

Anche la stessa antropologa però precisa che l’importante è che il consumatore sia consapevole: esistono, infatti, dei progetti interessantissimi che utilizzano tessuti Wax “cinesi” per incrementare il benessere ed i proventi delle popolazione locali.

Quindi non tutto il Wax cinese vien per nuocere 😉

Il discorso sarebbe lunghissimo, di certo non si potrebbe esaurire in queste poche righe. Il mondo del tessile Wax mi ha rapita con la sua miriade di colori e significati…infatti sono in trepidante attesa del prossimo volume di Anne che dovrebbe uscire tra pochi giorni 😉

E voi, che ne dite?!

Sono riuscite ad incuriosirvi?!

Alla prossima avventura dunque 😀

Dal batik all’Art Nouveau. Il filo che unisce oriente ed occidente

Dal batik all’Art Nouveau. Il filo che unisce oriente ed occidente

Finalmente al Museo delle Culture di Milano va in scena una mostra dedicata al mondo tessile. Art Nomade Milan l’ha visitata per voi

Come ben sapete quando posso recensire mostre dedicate all’arte tessile lo faccio con estremo piacere…e se si tratta di culture extra-europee ancora di più 😉

Fino al 26 Agosto il MUDEC di Milano ospita un’esposizione gratuita dal titolo estremamente evocativo: “Dal batik all’Art Nouveau. Il filo che unisce oriente ed occidente“. 

Dal batik all’Art Nouveau. Il filo che unisce oriente ed occidente.

Promossa dall’Associazione CULTURAL PATHS e curata da Laura Todeschini e Giulia Ceschel,  la mostra illustra la storia e la lavorazione dei batik, tessuti di cotone tinti a riserva. 

In realtà i primi frammenti di batik rinvenuti dagli archeologi in Egitto sono in lino.

Le molte stoffe esposte al MUDEC provengono in gran parte dalla raccolta di Sergio Feldbauer, appassionato ricercatore che tra gli Anni Settanta ed Ottanta si è recato spessissimo in Indonesia.

Dal batik all’Art Nouveau. Il filo che unisce oriente ed occidente.

Il percorso espositivo parte dunque dall’Asia, in particolare dall’isola di Giava, dove ha origine la parola batik (in malese: goccia), per poi proseguire in altre zone del globo come l’Africa ed il medio-oriente.

Si hanno infatti tracce di questa produzione anche tra le popolazioni Youruba della Nigeria e Soninke del Senegal, mentre in alcune comunità arabe i batik erano denominati kaligrafi arab.

La retrospettiva evidenzia in maniera approfondita come i tessuti siano diventati una vera e propria forma di comunicazione con decori dai precisi significati e valori.

Addirittura nei sultanati, kraton, dell’isola indonesiana era proibito riprodurre alcuni temi in quanto destinati solo alla famiglia reale.

Esistevano perciò batik di “corte” e batik “rurali” e la tecnica era già utilizzata nel tredicesimo secolo. 

Si diceva che indossarli ponesse in armonia con l’universo.

Il batik e l’Art Nouveau. Il filo che unisce oriente ed occidente. 

Nel progetto curatoriale viene messo in luce il ruolo delle donne, custodi dei segreti della tintura parziale e dei coloranti naturali da utilizzare.

Tintura parziale?! 

Ebbene sì: per ottenere i batik bisogna impermeabilizzare tramite cera od altro composto una parte della stoffa in maniera tale che solo alcune zone prendano colore.

Il tessuto dunque non è solo un genere di prima necessità prodotto in maniera artigianale, ma un mezzo per raccontare la propria cultura ed usanze. 

Ancora oggi i vacanzieri che si recano in Indonesia tornano a casa con questi coloratissimi souvenir. In realtà il loro significato è profondo, un filo che dall’Asia si dipana fino ad arrivare all’Europa.

Infatti, come accaduto per i tessuti wax della Vlisco di cui avevo parlato nell’articolo dedicato ad Africa Africa, i tessuti batik si sono diffusi grazie ai mercanti olandesi in alcune aeree del continente africano e poi anche in Europa.

Si suppone addirittura che i tessuti wax derivino proprio dai batik

In realtà l’arrivo nel vecchio continente lo si deve attribuire in primis ai portoghesi e poi agli inglesi, assidui frequentatori del sud-est asiatico alla ricerca soprattutto delle spezie.

Con il fiorire nel vecchio continente della corrente artistica dell’Art Nouveau, definita Liberty in Italia, Jugendstil in Germania, Sezessionstil in Austria, Nieuwe Kunst in Olanda, il rapporto tra tessile asiatico ed Europa diviene sempre più stretto. 

Dal batik all’Art Nouveau. Il filo che unisce oriente ed occidente. 

Lo stesso William Morris, padre dell’Arts & Crafts, nella fabbrica da lui fondata produceva batik

Così, nei primi decenni del Novecento, la produzione di questi tessuti assunse linfa vitale e spirito creativo sia in Europa che nei paesi d’origine. 

L’incontro tra Oriente ed Occidente contribuì a creare un nuovo gusto. 

L’importanza fondamentale dei batik é stata riconosciuta anche dall’UNESCO che nel 2014 li ha inseriti tra gli Intangible Cultural Heritage, patrimonio culturale immateriale. 

Non si poteva dunque scegliere una sede migliore per narrare questa storia. 

Il MUDEC, Museo delle Culture, già dalla sua fondazione nel 2015 si è posto come obbiettivo la valorizzazione delle differenti culture, delle loro connessioni e relazioni. 

Dal canto suo l’Associazione CULTURAL PATHS si propone di riattribuire importanza alle manifestazioni culturali ed artigianali che rischiano di sparire a causa della globalizzazione imperante. 

La mostra, ad ingresso gratuito, merita davvero una visita 🙂