A Palazzo Litta dal 15 Marzo al 2 Aprile 2018 fotografi e designer africani gettano nuova luce sull’arte contemporanea del continente.
Ha aperto i battenti l’esposizione “Africa Africa: exploring the Now in African design and photography” nel milanese Palazzo Litta.
Prosegue dunque, a poca distanza dalla sede della Sopraintendenza Archeologica, sempre in Corso Magenta 24, l’interessante iniziativa proposta dal MiBACT e MoscaPartners chiamata “Palazzo Litta Cultura“. Il progetto mira ad utilizzare alcune sale del palazzo per esposizioni inerenti il panorama artistico contemporaneo, con un occhio rivolto soprattutto al mondo del design.
Questa volta ad animare le stanze del primo piano dell’edificio ci pensano 25 artisti subsahariani autori di 40 prodotti di design e cinquantacinque opere fotografiche magnificamente esposte.
L’introduzione della mostra è affidata all’evocativo tavolo in legno massello a forma d’Africa: chiuso ricorda una farfalla. Leggerezza dunque ed unità che ci paiono strane pensando all’immagine del continente che ci propinano i media alla luce dei recenti fatti di cronaca.
I 24 milioni di chilometri quadrati che si estendono da est a ovest a meridione del Sahara sono un bacino dinamico ed innovativo di produzione cinematografica, musicale ed artistica. Del resto Africa Africa è un progetto che ha visto la collaborazione di più enti tra cui Mia Photo Fair ed il Festival del Cinema Africano Asia ed America Latina.
La sezione fotografica è stata infatti curata da MIA Photo Fair Projects e da Maria Pia Bernardoni in rappresentanza del LagosPhoto Festival, internazionale della fotografia che si tiene annualmente nella più grande città nigeriana.
Non va dimenticato che uno dei “focus” della Mia Photo Fair 2018 è stato proprio il continente africano.
Insomma un’Africa da scoprire ed un’arte africana da riconsiderare in quanto troppo spesso connessa al gusto per l’etnico ed il tribale.
Tale mission è propria di un interessante trimestrale edito a Cape Town ed intitolato “ArtAfrica“.
La rivista è infatti dedicata all’arte contemporanea africana al fine di farla conoscere all’estero sfatando il mito del “buon selvaggio”.
Bisogna inoltre sottolineare che alcuni artisti africani non hanno avuto vita facile nemmeno in patria: avvicinarsi a modalità espressive “occidentali” abbandonando le tradizioni veniva spesso interpretato come un sottomettersi “agli invasori” soprattutto nel difficile periodo della convivenza pre e post apartheid.
Attualmente la gestione politica internazionale del fenomeno migratorio non ha agevolato la diffusione di un’idea chiara sull’Africa che mai come di questi tempi ci è sembrata così vicina.
Ben vengano dunque iniziative di questo tipo che aiutano a sfatare il binomio “invasori/vittime” in cui si incasella chi arriva dal continente “vero”.
Sì, continente “vero” piuttosto che continente nero, riprendendo la felice espressione inserita nel sottotitolo del bimestrale “Africa. Missione e cultura“.
Tutte queste realtà, redazioni giornalistiche ed associazioni, purtroppo ancora poco conosciute, sono state coinvolte nei vari eventi milanesi: ArtAfrica è stato media sponsor proprio della MIA Photo Fair, mentre il direttore di “Africa. Missione e cultura“, Marco Trovato, ha partecipato ad un talk del Festival del Cinema Africano Asia ed America Latina.
Tornando all’esposizione di Palazzo Litta, dopo il preambolo, il visitatore viene gradualmente accompagnato nella vitalità della creazione africana tramite il corridoio dedicato al tessile. Tessuti in realtà non autoctoni in quanto prodotti dall’olandese Vlisco e diffusisi nel continente tra il XIX ed il XX secolo.
Stampe colorate, simboli, colori accessi che sono diventati una vera e propria forma di comunicazione per i gruppi etnici locali. Un sorta di “linguaggio tessile”.
Per chi fosse interessato ad approfondire il tema consiglio il volume di recente pubblicazione “Anthologie des tissus imprimés d’Afrique” dell’antropologa francese Anne Grosfilley.
Tra i tessuti spunta la “Banquette Pirogue” del designer ivoriano Jean Servais Somian, un divano in legno di framirè rivestito di stoffa Bazin. Di Somian sono esposti altri pezzi interessanti.
Percorrendo le sale l’arredamento si accompagna alla fotografia, in prima battuta ad alcuni scatti del progetto “Africadia” di Siwa Mgoboza. Sempre di questo giovane fotografo sudafricano è l’immagine coordinata della milanese fiera internazionale di fotografia 2018.
Si entra poi nel vivo dell’esposizione dove a catturare l’occhio non sono solo i pezzi esposti, ma anche il contrasto creato tra questi e le decorazioni barocche delle sale in cui sono ospitati.
Le creazioni di Hamed Ouattara colpiscono per l’abilità di ideare mobilio tramite materiale di scarto. Nello studio che ha aperto a Ouagadougou in Burkina Faso si modellano e battono a mano soprattutto i barili di scarto del petrolio per ottenere madie, cassettiere ed armadi.
Creatività che non solo stupisce, ma fa riflettere su temi quali lo sfruttamento del territorio da parte delle multinazionali straniere.
Hamed Ouattara stesso, nel video che accompagna la sua scheda biografico esplicativa, sottolinea la possibilità di utilizzare ciò che si ha disposizione, senza dover sempre dipendere dall’estero.
L’artisticità che nasce da prodotti di scarto o di grande diffusione è uno dei fili conduttori dell’esposizione: bottiglie di plastica, sacchi per la spesa inseriti in progetti fotografici o suole di infradito cucite insieme a formare un tappeto.
Notevoli spunti di riflessione inducono anche i ritratti di Omar Victor Diop dal progetto “Project Diaspora” e soprattutto le creazioni di Gonçalo Mabunda.
Mabunda, originario del Mozambico, è un artista conosciuto a livello internazionale per le sue opere composte da scarti di materiale bellico. I suoi “troni” esposti al Centre Pompidou ed alla Biennale di Venezia invitano davvero ad un esame di coscienza.
L’illuminazione delle singole opere è ben congegnata: si creano dei particolari effetti che le amalgamano con le sale. Proseguendo si giunge alle creazioni del congolese Maurice Mbikayi, del sudafricano Heat Nash, di Osborne Macharia e di Stephen Burks.
Burks è un designer di fama internazionale che collabora con brand quali Missoni e Roche Bobois. Sono famose le sue lanterne antropomorfe tessute a mano in vari materiali.
Ritornando sui propri passi si arriva alle ultime sale della mostra. In realtà queste stanze potevano essere viste anche all’inizio, in quanto il percorso di visita è molto libero.
Qui troviamo esposti i lavori del designer Inoussa Dao e di Joana Choumali.
Dao dopo aver mosso i primi passi in Burkina Faso, si sta affermando all’estero grazie alle sue creazioni strutturate. La fotografa ivoriana Choumali impreziosisce le stampe cromatiche con lavori di ricamo nel progetto “Traslation“.
Africa Africa non mira ad essere un’esposizione esaustiva, bensì fornisce uno spaccato sulla vitalità del panorama creativo contemporaneo del continente. Tutte le opere esposte sono state prodotte nel biennio 2016/2017.
Peccato per la breve durata della mostra (19 giorni totali) e per gli orari di apertura limitati, oltre alla mancanza di una brochure da poter conservare per aver traccia degli artisti presentati.
Molti fotografi e designer, dopo un inizio nella propria patria d’origine, hanno studiato all’estero. Addirittura alcuni di essi lavorano anche a Milano.
La maggioranza però è ritornata a casa per far crescere la propria arte lì dove è stata inspirata e dare una possibilità, oltre che una dimostrazione, ai propri connazionali.
Dimostrare che sì, si possono sviluppare idee imprenditoriali sul territorio: l’Africa dunque non è solo una fonte di inspirazione, ma anche una fucina di creatività.