Arte extraeuropea ed esposizioni: nuove sfide per i Musei delle “Culture”

Arte extraeuropea ed esposizioni: nuove sfide per i Musei delle “Culture”

Acquisizioni, restituzioni, cambiamento di mentalità: tutte prove che attendono i Musei delle “Culture”. Con l’emergenza COVID-19 le operazioni sono in stand by, ma il dado pare tratto 😉

Da alcuni anni i vecchi musei etnologici ed etnografici stanno subendo una radicale trasformazione. Il cambiamento maggiormente visibile per il grande pubblico è quello del nome: Museo delle “Culture”, Museo delle “Civiltà”. Quasi non si sapeva più come ri-definirli.

Sembrava di avere a che fare con qualcosa di spinoso, avendo tanta paura di commettere un passo falso.

Del resto, nell’era della comunicazione di massa, le critiche sono dietro l’angolo e lo “scandalo” è a portata di click. Rimanere nei confini del politically correct obbliga ad essere “funamboli”: si ha sempre paura di cadere e commettere un torto verso questa o quell’altra realtà sociale.

Oltre alla ri-definizione del nome, anche le collezioni degli ex musei etnografici non sono rimaste indenni.

Come sono arrivate quelle opere in Europa?!

In maniera lecita o illecita?!

I proprietari, in origine, sono stati forzati a separarsi da oggetti simbolici e di culto?!

Arte extraeuropea ed esposizioni: nuove sfide per i Musei delle “Culture”

Ma facciamo un passo indietro: con etnologia si intende quella parte dell’antropologia che si occupa di studiare e confrontare le popolazioni attualmente esistenti nel mondo, mentre con etnografia si fa riferimento al metodo con cui operano le ricerche sul campo nelle scienze etnoantropologiche.

Stiamo, dunque, parlando di arti “tribali” o “primarie”…ecco mi pare già di aver offeso qualcuno definendole così -.-

Insomma maschere, statue, oggetti di culto, da cerimonia, ma anche di uso quotidiano (libri, documenti, filmati) tipici di culture extra europee.

arte extraeuropea
Arte extraeuropea ed esposizioni: nuove sfide per i Musei delle “Culture”. Foto scattata durante la mostra “Ex Africa”, Museo Civico Archeologico, Bologna 2019.

Ed in questo mare magnum c’è una storia che voglio raccontarvi e che, penso, pochi di voi conoscano.

Tre anni fa, nel Novembre 2017, il presidente delle Repubblica Francese Emmanuel Macron, si trovava in visita ufficiale in Burkina Faso e, durante un discorso all’Università di Ouagadougou, ha rilasciato delle dichiarazioni memorabili.

Ha, infatti, affermato che il “patrimonio africano non può rimanere prigioniero dei musei europei”. Insomma, di lì a tre anni sarebbe iniziato il processo di restituzione definitiva o temporanea delle opere conservate nelle istituzioni pubbliche francesi.

Un bel colpo! E non solo per i nostri vicini d’Oltralpe!

Arte extraeuropea ed esposizioni: nuove sfide per i Musei delle “Culture”

Si calcola, infatti, che la quasi totalità del patrimonio storico artistico africano si trovi al di fuori del continente.

Una grande parte in Francia, è vero, ma non solo.

Belgio, Germania, Gran Bretagna, Austria ed anche Italia possiedono molti reperti.

Se calcoliamo l’insieme di quanto rimasto nella propria terra d’origine, all’interno dei Musei, arriviamo a circa 3.000 pezzi.

Perché le istituzioni culturali esistono anche in Africa, eccome se esistono!

Certo, non tutti i 54 stati riconosciuti hanno delle strutture museali sviluppate.

Parlando di Africa subsahariana, Camerun, Senegal, Nigeria, Kenya, Ghana, Namibia, Sud Africa sono in testa in quanto a numero di organizzazioni culturali modernamente organizzate.

arte extraeuropea
Arte extraeuropea ed esposizioni: nuove sfide per i Musei delle “Culture”. Mappa delle istituzioni culturali presenti in Africa subsahariana, courtesy of “Restituer le patrimoine africain“, Philippe Rey/Seuil, 2019.

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Eppure le loro opere d’arte rimangono nelle strutture europee.

Ben 70.000 reperti al Musée du Quai Branly, Parigi;

75.000 oggetti al Humboldt Forum, Berlino (inaugurazione nel 2020);

180.000 al Musée royal de l’Afrique centrale, Tervuren (Belgio);

69.000 opere al British Museum, Londra;

37.000 al Weltmuseum, Vienna;

70.000 ai Musei Vaticani, Città del Vaticano.

All’appello mancano i reperti conservati nei piccoli musei di provincia, in quelli privati o di proprietà di confraternite religiose.

Ma quando è iniziato questo vero e proprio export di opere d’arte?

All’incirca a fine XIX secolo, quando, dopo la Conferenza di Berlino (1884/1885), iniziò la spartizione dell’Africa da parte delle potenze europee.

Arte extraeuropea ed esposizioni: nuove sfide per i Musei delle “Culture”

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Arte extraeuropea ed esposizioni: nuove sfide per i Musei delle “Culture”. Spartizione dell’Africa da parte delle potenze europee.

Così le dichiarazioni di Emmanuel Macron a Ouagadougou hanno provocato effetti anche in altri stati europei, soprattutto all’interno dei cosiddetti Musei delle “Culture”.

Molte associazioni africane si sono mosse per chiedere provvedimenti simili ai propri governi, soprattutto in Germania.

Richieste non nuove: già all’inizio degli Anni Sessanta alcuni stati nazionali africani, di recente costituzione, avevano avanzato simili domande.

Considerate che era il periodo dell’indipendenza delle colonie: il Ghana è stato il primo stato dell’Africa nera ad ottenerla, nel 1957.

Così anche l’UNESCO si era interessato al tema, nel 1978.

Ma non basta una decisione governativa per innescare il processo. Servono studi adeguati per arrivare allo spostamento delle opere.

Così la Francia ha assegnato ufficialmente l’incarico ad un pool di studiosi, che ha messo in piedi un programma di ricerca ed azione riassunto nella pubblicazione “RESTITUER LE PATRIMOINE AFRICAIN“, redatta da F. Sarr e B. Savoy e pubblicata a Novembre 2019.

Ma quali sono le maggiori difficoltà che i ricercatori hanno incontrato in questo percorso? Complessità che tutti gli stati europei incontreranno una volta che aderiranno a tale processo.

– LEGISLAZIONE 

Molto spesso, all’interno delle costituzioni nazionali, esistono delle clausole che ostacolo un’eventuale restituzione, soprattutto se permanente. Tornando all’esempio francese, l’”inalienabilità del patrimonio nazionale” è uno dei nodi ancora da sciogliere per poter mettere in pratica lo spostamento dei beni.

– ACCERTAMENTO DELLA PROVENIENZA

Se molti beni sono stati acquisiti durante il periodo coloniale, in maniere non proprio legittime, altri sono stati acquistati sul mercato antiquario. E qui si apre un bel dibattito: la loro provenienza è lecita? Bisogna distinguere tra beni legalmente ottenuti, anche tramite donazioni da parte di capi di stato non collusi, e beni provenienti da fonti illecite.

– INVENTARI ED ACCOMPAGNAMENTO DELLE OPERE

Il numero dei reperti presenti in Europa non è chiaro. Come accennato in precedenza mancano all’appello le testimonianze custodite nei piccoli musei provinciali. Chiaramente, nel progetto francese, non sono compresi i musei e le collezioni private. Inoltre, al di là delle sculture ed altre forme di espressione, ci sono anche i documenti, i manoscritti, i libri: le testimonianze custodite negli archivi europei meriterebbero un’indagine a sé stante.

Una volta risolti i punti di cui sopra, scelti i beni da restituire (processi, appunto, lunghi e complessi), bisognerà mettere in piedi un team bilaterale di studiosi che accompagnino il trasporto degli oggetti e soprattutto il loro ricollocamento locale. Servirà, inoltre, un sistema amministrativo collaudato per favorire l’inoltro delle domande di restituzione da parte dei singoli stati.

Burocrati, antropologi, psicologi, storici dell’arte, giuristi: numerose figure professionali dovranno essere coinvolte.

Al momento non ho notizie dei progressi raggiunti sul fronte della restituzione da parte della Repubblica francese.

Spero vivamente che, dopo tanti discorsi e dispendio di energie, non finisca tutto nel “dimenticatoio”.

L’Italia, al momento, sembra la nazione meno toccata da questo movimento, latente agli occhi dei più, ma che in realtà si è messo in moto.

Arte extraeuropea ed esposizioni: nuove sfide per i Musei delle “Culture”

Ma siamo davvero sicuri che non ci tocchi?!

L’annosa questione dell’Obelisco di Axum dovrebbe averci insegnato qualcosa…perlomeno a non farci trovare impreparati.

La popolazione europea è sempre più vecchia, quella africana sempre più giovane.

Se davvero vogliamo portare sviluppo nel continente al di là del Mar Mediterraneo, di cui ogni giorno parlano i tg nazionali, dobbiamo iniziare ad aiutarli nella ricostruzione delle loro radici.

Estremo Oriente e tessitura: la tradizione del ricamo Gu

ricamo Gu

Estremo Oriente e tessitura: la tradizione del ricamo Gu

A Palazzo Durini, sede della MA-EC art gallery, potete ammirare fino a domenica otto splendide opere in cui pittura ed arte tessile si uniscono. Scopriamole insieme 🙂

 

Quando si tratta di tessile proprio non resisto…Italia, Africa, Medio Oriente, ma non solo: la Cina chiama ed Art Nomade Milan risponde 🙂

Vi confesso che non conoscevo questa particolare tradizione e la visita al Milano Art & Event Center mi ha davvero aperto un mondo: quello del ricamo pittorico Gu.

Quest’arte è intimamente legata alla città di Shanghai e, più precisamente, ad uno dei suoi sedici distretti: Songjiang. Il nome Gu deriva da un patronimico: nel 1559 d.C., trentottesimo anno di regno dell’imperatore Jiajing della Dinastia Ming, tre donne della famiglia Gu di Songjiang (Mms. Miu, Han Ximeng, Gu Hulan) crearono e diffusero l’utilizzo dell’ago come pennello e del filo come inchiostro.

ricamo Gu
Estremo Oriente e tessitura: la tradizione del ricamo Gu

Estremo Oriente e tessitura: la tradizione del ricamo Gu

La caratteristica più evidente è come il ricamo Gu usi elementi estetici derivanti dalla pittura. Si narra che i motivi a fiori, uccelli, pesci e figure umane siano derivati dall’osservazione delle opere di Dong Qichang (1556-1636), un pittore letterato molto conosciuto all’epoca. A sua volta Dong Qichang rimase affascinato da questa tecnica che impiegava fili di seta sottili come capelli e una moltitudine di aghi differenti. All’interno della mostra di Palazzo Durini potrete ammirare la versione ricamata in stile Gu dell’opera “Poema sulla permanenza al Villaggio Fang” proprio di Qichang.

La tecnica viene tramandata solo alle donne ed ancora oggi sono poche quelle che ne conoscono davvero i segreti. La lavorazione avviene tramite 16 diversi aghi che intessono esclusivamente fili di seta. L’apprendistato delle giovani artiste dura circa due anni. Un’operazione di estrema pazienza visto che per produrre un lavoro di 25 cm² si impiegano circa 10 mesi.

Durante l’inaugurazione l’artista Zhang Li ha realizzato un versione ricamata del “Painting of Peony“, un dipinto della Dinastia Song meridionale (1127-1279) che ora è conservato nel Museo del Palazzo di Pechino. É stato difficile rendere i petali sovrapposti: ciò ha richiesto vari metodi di cucitura.

Estremo Oriente e tessitura: la tradizione 

 

 

Solitamente i lavori vengono venduti in Cina, non sul mercato internazionale. Così, quando alcuni pezzi passano in asta, vengono battuti a cifre da capogiro per il settore tessile.

Ma perchè il ricamo Gu è approdato a Milano?!

L’occasione è stata la celebrazione del quarantesimo anniversario del gemellaggio tra Milano e Shanghai. Lo  Shanghai Daily Multinational Corporate Communication Club, prestigioso ente nato nel 2014 unendo 400 aziende multinazionali con sede in Cina, ha ideato il progetto “Let’s meet in Shanghai: il ricamo Gu“. Otto opere ricamate con la tecnica Gu hanno così trovato casa a Palazzo Durini, prestigiosa sede della MA-EC art gallery, fino al 15 Dicembre.

Estremo Oriente e tessitura: la tradizione 

In quasi 400 anni il ricamo Gu ha conosciuto momenti di declino, fino alla rinascita completa avvenuta nel secolo scorso grazie alla Songjiang Arts and Crafts Factory (SACF) avente uno speciale dipartimento dedicato al Gu. Alla sua chiusura nel 1990 il laboratorio di Gu entrò nel SEAMS e iniziò un vero e proprio programma di valorizzazione della tradizione con l’istituzione di corsi per formare giovani ricamatrici.

Attualmente sono circa 20 le artiste riconosciute operanti con questa tecnica, che inizia ad essere apprezzata anche in Europa e Nord America.

Finalmente, nel maggio 2006, il ricamo Gu è entrato nella lista dei patrimoni culturali immateriali nazionali.

E qui si apre un capitolo che dovrebbe “fare scuola”, vista specialmente la ricchezza di tradizioni della nostra penisola e il totale stato di abbandono in cui molte di esse versano, con il rischio di scomparire del tutto.

Estremo Oriente e tessitura: la tradizione del ricamo Gu

Songjiang, come sottolineato poco sopra, è uno dei distretti di Shanghai, la città più popolosa al mondo, ricchissima di tradizioni folkloriche particolari. Il rischio che finissero nel dimenticatoio era ovviamente altissimo. Così la municipalità ha dato un grande impulso alla valorizzazione del proprio patrimonio culturale immateriale. Ha istituito 29 patrimoni culturali immateriali (3 nazionali e 10 cittadini) oltre ad attività che coinvolgessero la comunità ed i campus universitari. Tutti gli anni, in occasione della giornata del Patrimonio Culturale e Naturale, numerosi eventi diffondono una maggiore consapevolezza del valore del folklore. Gli spazi vengono aperti gratuitamente e, da diverse edizioni, corsi di ricamo Gu hanno luogo presso l’Università di Scienze Ingegneristiche di Shanghai.

Ricamo ed ingegneria?!

Certamente!!!

Alla faccia di chi considera l’arte tessile un “semplice lavoro da donne” 🙂