Carla Mura: arte, filo e perfezione – Art Nomade Milan

Carla Mura

Carla Mura: arte, filo e perfezione – Art Nomade Milan

L’arte non si ferma! Alla Libreria Bocca, in Galleria Vittorio Emanuele, fino al 3 dicembre si potrà visitare la personale di Carla Mura, a cura di Vera Agosti.

Un bel segnale per la città e la cultura quello dato da una delle aziende librarie più antiche rimasta in attività. Del resto dal 1775, anno in cui i fratelli Giovanni Antonio Sebastiano e Secondo Bocca aprirono bottega a Torino, di stravolgimenti storici la libreria ne ha visti eccome. La Rivoluzione Francese, la dominazione austriaca, Napoleone, le Guerre di Indipendenza, due guerre mondiali e la Grande Crisi del ’29. Delle cinque sedi storiche (Parigi, Firenze, Roma, Torino e Milano) solo quella meneghina è aperta, acquisita nel 1979 dalla famiglia Lodetti.

Di certo non ci si poteva far scoraggiare dalla seppur grave situazione pandemica e così, stante tutte le norme di sicurezza sanitaria, si è deciso di aprire la mostra di Carla Mura.

L’artista cagliaritana, classe 1973, dopo un lungo periodo dedicato alla pittura, ha iniziato a realizzare delle opere utilizzando un materiale a lei molto caro: il filo.

Arte e filo

Carla Mura
Carla Mura: arte, filo e perfezione – Art Nomade Milan

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Per descrivervi la personale milanese voglio partire dal titolo, che è già di per sé molto significativo: “L’arte perfetta“.

É dalla notte dei tempi che il genere umano si interroga sul concetto di “perfezione”, specie se rapportato all’arte. Ad esempio il mondo arabo sosteneva che l’eccellenza massima appartenesse solo ad Allah. Così gli annodatori degli antichi tappeti persiani inserivano volontariamente un errore nelle loro creazioni, al di là delle imperfezioni del colore o del mix di materiali utilizzati.

Oggi questa tradizione è pressoché scomparsa, a seguito dello sviluppo della produzione industriale.

La poetica di Carla Mura, però, non è da caratterizzare come fiber art tout court. Si ascrive, invece, nell’ampio spettro dell’arte, non è adatta ad essere incasellata sotto una dicitura stringente, vista la sua completezza.

Di certo l’artista conosce a fondo le opere di maestri quali Maria Lai, ma affronta un percorso intimo e originale, molto caratterizzato dal suo vissuto e dai temi quotidiani che ci circondano. Lo si comprende dai titoli che accompagnano le sue opere che, a volte, richiamano sensazioni e sentimenti (“Silence”, “Light”, “Autoritratto”), altre ricordano tematiche ecologiche e ambientali (“Architetture/green”, “Modelli meteorologici”) che le stanno a cuore.

Carla Mura

Peculiare per Carla Mura è proprio il filo. Il cotone diventa lo strumento per creare infinite composizioni astratte e combinazioni di cromie differenti. A volte utilizza anche la lana, che conferisce maggiore spessore, quasi come un pennello più ampio, oppure della corda, ancora più materica. I materiali di supporto delle sue creazioni sono i più vari: tela, marmo, pietra travertino, legno e plexiglass. I fili vengono annodati o incrociati, formando labirinti o pattern uniformi, dove il monocromo è spezzato da pochi accenni di una tinta differente.

Tra Process Painting, Arte Povera e Optical Art, nell’astrazione di Carla Mura c’è chi comunque legge un riferimento alla realtà: paesaggi visti dall’alto o da un treno in corsa.

La sua personale ricerca di perfezione, senza nessuna sbavatura, l’utilizzo di tinte brillanti e le geometrie armoniose rivelano la bellezza del pensiero e delle proporzioni.

Inoltre il filo è già di per sé portatore di significati estremamente simbolici: quello di Arianna serve a Teseo per trovare l’uscita dal labirinto del Minotauro; quello delle tre parche è legato alla vita dell’uomo.

Il filo di Carla è però speciale.

Nuovo, contemporaneo, sottile e preciso, porta in sé la perfezione e l’armonia della matematica, che si congiunge alla filosofia e all’infinito.

 

 

 

 

 

 

 

 

Fiori sul Ciglio della Strada – La Collezione Korolnik

MUSEC Lugano

Fiori sul Ciglio della Strada – La Collezione Korolnik MUSEC Lugano

Prosegue fino al 10 gennaio 2021 al MUSEC – Museo delle Culture di Lugano l’esposizione dedicata all’arte tessile del Marocco. 

Il 2020 ha sconvolto i piani ed i calendari di tutte le istituzioni culturali. Rinvii, cancellazioni, ma fortunatamente anche proroghe.

É questo il caso di “Fiori sul Ciglio della Strada – Tappeti e tessuti dal Marocco. La Collezione Korolnik“, esposizione all’ultimo piano di Villa Malpensata che sarebbe dovuta terminare in Ottobre.

Io ho avuto il piacere di visitarla quest’estate, ma gli appassionati di arte tessile hanno tempo fino alla prima decade del nuovo anno per farlo.

In realtà l’indagine sullo stato nordafricano dell’istituzione ticinese era stata avviata con la rassegna di fotografie impressioniste di Roberto Polillo, allestita nello Spazio Maraini.

Fiori sul Ciglio della Strada

Ma veniamo al progetto dedicato ai Korolnik, che ha il pregio di essere la prima esposizione monografica interamente dedicata alla collezione. Infatti solo alcune delle opere erano già state esposte presso prestigiosi musei internazionali (Musée du quai Branly, Parigi; Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid; Indianapolis Museum of Art , Indianapolis; Museum Bellerive, Zurigo).

Un grande amore per il Marocco quello dei due coniugi, Annette e Marcel, che si è materializzato in un’approfondita ricerca sul tema durata ben trent’anni. Un’analisi capillare che ha portato i Korolnik all’acquisizione di preziose opere tessili, che vanno dalla seconda metà dell’Ottocento alla prima metà del Novecento, afferenti a ben trenta diverse regioni etniche marocchine.

La mostra presentata al MUSEC, curata da Paolo Maiullari e dalla stessa Annette Korolnik, si suddivide in cinque sezioni. Vengono presentati al pubblico 18 manufatti tessili, accompagnati da altri oggetti che aiutano il visitatore a comprenderne il contesto di produzione. Così ai tappeti, alle coperte, agli scialli ed ai coprisella fanno da contrappunto, ad esempio, terrecotte dipinte provenienti dalle medesime zone dei tessuti, oltre che fotografie.

MUSEC Lugano

MUSEC Lugano
Taheddoun oppure handira. Scialle da spalla decorato con frange di lana, cotone e seta, impiegato per cerimonie e feste nuziali. Marocco. Medio Atlante occidentale. 1920. Etnia Zemmour. Lana, cotone, seta, carminio, pigmenti. Tecnica mista. 147×270 cm. Collezione Korolnik. © 2020 MUSEC/Fondazione culture e musei, Lugano.

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Il percorso di visita mira ad esaltare i valori estetici, storici, antropologici e artistici dell’arte tessile marocchina.

Ciò che sicuramente colpisce chi si accosta per la prima volta in maniera così approfondita a quest’arte è l’incantevole diversità e intensità cromatica delle opere. La tradizione marocchina è ricca di contrasti di colore che riflettono le ricche e variegate tradizioni culturali delle popolazioni locali.

La creazione di elementi tessili rispondeva in primis ad esigenze pratiche e ciò lo si può facilmente dedurre dalle tecniche utilizzate per la produzione. Tessiture, materiali e dimensioni permettevano ai singoli oggetti di assolvere più funzioni. Normalmente si utilizzava la lana e le decorazioni trasmettevano messaggi inerenti la sfera religiosa, sociale, politica od economica.

In Marocco le tradizioni berbere ed arabo islamiche si sono fuse, generando particolari sincretismi culturali rispecchiabili anche in questo campo artistico. É così che diversi stili etnici si sono via via sovrapposti.

Lugano

MUSEC Lugano
Coperta da sella utilizzata dagli uomini per celare le merci acquistate al mercato (suk), per evitare l’insorgere di gelosie da parte degli abitanti del villaggio. Marocco. Alto Atlante meridionale. Area di Siroua. 1930. Etnia di Ait Ouaouzguit. Lana, indaco, pigmenti. Tecnica mista. 129×124 cm. Collezione Korolnik. © 2020 MUSEC/Fondazione culture e musei, Lugano.

Fiori sul Ciglio della Strada

Elemento dominante dell’arte tessile marocchina è l’uso di ripetizioni delle forme, di simmetrie, di moduli geometrici che si combinano con colori vivaci. Sono state le condizioni geografiche e climatiche, che vanno dal deserto alla neve dei Monti dell’Alto Atlante (si contano ben sei comprensori sciistici), a favorire una così ricca varietà.

Studiare la produzione tessile significa iniziare a conoscere in profondità le popolazioni che hanno abitato quelle terre.

Prendendo ad esempio i tappeti, ognuno di loro rivela il villaggio in cui è stato prodotto, i materiali utilizzati, le pratiche di tessitura locali, l’ambiente sociale del suo impiego. Una vera e propria ricerca antropologica quella condotta dai coniugi Korolnik, focalizzata su ben trenta etnie. Unica tecnica che hanno volutamente tralasciato, nel costituire la loro collezione, è quella del ricamo, sviluppatasi nelle grandi città. A loro interessavano soprattutto le produzioni dell’entroterra prima del 1950, perché proprio in quel periodo è nata la produzione orientata al mercato ed ai turisti.

Infatti negli Anni Cinquanta del Novecento i caratteri tradizionali dei tessuti hanno cominciato ad essere usati in maniera disgiunta rispetto alle motivazioni originarie. Sono diventati elementi puramente estetici, inseriti per ingraziarsi mercanti ed acquirenti stranieri.

Fiori sul Ciglio della Strada

Ma perché i Korolnik si sono proprio concentrati sul Marocco?!

La risposta è contenuta nel bellissimo catalogo che correda l’esposizione, in cui vengono presentate ben 31 opere tessili, premesse da una ricca intervista ad Annette Korolnik (il marito e compagno di ricerche Marcel è venuto a mancare nel 2008).

Avevamo sete di libertà e di esperienze oltre i confini di un mondo sempre più anonimo e asettico. Cercavamo una dimensione non disturbata dalla modernità. Ci hanno attirato molto i Berberi, nativi del Marocco, persone dallo spirito libero che nulla si lasciano imporre.”

Viaggiando nell’interno della nazione l’incontro con il mondo arabo islamico è poi sorto in maniera spontanea.

Ed è davvero il caso di dirlo: quando sboccia l’amore per l’Africa, non puoi più tornare indietro.

Venezia e l’arte contemporanea africana: AKKA Project | Artist Residency

AKKA Project

Venezia e l’arte contemporanea africana: AKKA Project | Artist Residency

Nonostante le enormi difficoltà, legate al periodo che stiamo vivendo, AKKA Project è riuscita a dare il via alla seconda edizione del suo programma di residenze. Protagonista l’artista Kelechi Charles Nwaneri. 

Classe 1994, Kelechi Charles Nwaneri, giovane artista autodidatta nigeriano, non si è lasciato intimorire dalla situazione e, arrivato a Venezia agli inizi di ottobre, ha effettuato i 10 giorni di quarantena previsti per legge, prima di gettarsi a capofitto nella creazione. In realtà anche il vivere forzatamente nello stesso ambiente, evitando i contatti con l’esterno, fornisce alla persona la possibilità di misurarsi con una situazione foriera di ragionamenti introspettivi.

A scegliere questo artista è stato il team di AKKA Project, in particolare la sua co-fondatrice e vera anima del progetto, Lidija Khachatourian. Curatrice del Padiglione Nazionale del Mozambico alla Biennale di Venezia 2019, ha fatto della promozione dell’arte contemporanea africana la sua mission.

Un lavoro enorme, considerando la frammentarietà e vastità del continente, che AKKA Project porta avanti non solo nell’hub italiano, ma anche a Dubai e ben presto in Svizzera. Corollario digitale di tutto ciò è il sito www.artandaboutafrica.com, che vi avevo menzionato qui.

Venezia e l’arte contemporanea africana: AKKA Project | Artist Residency

Oltre alla vastità dell’impresa bisogna aggiungere anche una buona dose di coraggio per comprendere il lavoro di AKKA Project. Infatti il team ha scelto di portare avanti  il “vero” lavoro del gallerista, di ricerca, di investimento, di scoperta, senza arroccarsi sulle difensive ed intraprendere la più facile via del “secondo” mercato. Ovvero occuparsi esclusivamente di compravendita di artisti già noti, posizione che sembra andare per la maggiore, complice anche i tempi non rosei e i costi fissi delle strutture da coprire.

AKKA Project rimane, invece, sulla sua posizione e per la seconda edizione di  “Residenza d’artista a Venezia” ha selezionato appunto Kelechi, giovane artista nigeriano, autodidatta, che è considerato una grande promessa nel panorama artistico contemporaneo.

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Kelechi
Venezia e l’arte contemporanea africana AKKA Project Artist Residency  Kelechi Charles Nwaneri, “Portrait”.

Venezia e l’arte contemporanea africana: AKKA Project | Artist Residency

Il suo lavoro mescola diverse correnti artistiche come il fotorealismo, il surrealismo ed il postmodernismo. I media utilizzati per esprimersi sono molti vari. Kelechi passa dalla matita all’acrilico, dal collage agli acquerelli, fino ad arrivare ai colori ad olio su carta o tela. Una delle caratteristiche distintive delle sue opere è l’uso dell’iconografia africana e della simbologia tribale nigeriana. Emblemi mistici ed allegorici, figure ibride umanoidi e le geometrie di Adinkra e Nsibidi, oltre a quelle dei tessuti africani Adire. I temi trattati sono, però, molto contemporanei: il cambiamento climatico, l’avvento dei social media, la simbiosi tra gli esseri umani e il loro ambiente.

La residenza, che si svolge nello Studio/Galleria di AKKA Project nel cuore culturale ed artistico di Venezia, durerà fino al 21 dicembre.

Le opere saranno poi oggetto di un’esposizione.

Venezia e l’arte contemporanea africana: AKKA Project | Artist Residency

AKKA Project | Venice Artist Residency”, giunta alla sua seconda edizione, ha lo scopo di sostenere gli artisti africani autodidatti e di creare nuovi punti di incontro ed interazione con il patrimonio artistico-culturale locale ed internazionale. Lo svolgimento del progetto prevede un programma diversificato, costruito in funzione delle attitudini, interessi e tecniche dell’artista residente. Vengono inoltre organizzati talk e workshop con maestranze locali. La durata massima della permanenza è di tre mesi.

Costituisce un ottimo messaggio per il mondo della cultura il fatto che si sia deciso di portare avanti l’edizione anche quest’anno, senza optare per un rinvio.

Anzi, l’attività di promozione non si è fermata virando sull’invio, tramite posta, della riproduzione di una delle creazioni di Kelechi Charles Nwaneri.

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AKKA Project
Venezia e l’arte contemporanea africana AKKA Project Artist Residency  Kelechi Charles Nwaneri, “The tourist at the beach”.

Venezia e l’arte contemporanea africana: AKKA Project | Artist Residency

Nel mentre lo spazio espositivo di AKKA, in Calle de la Verona, è stato occupato dal corpus di opere relativo alla prima edizione della residenza. Protagonista il mozambicano Rodrigo Mabunda. Il titolo della solo exhibition, che ha inaugurato il 25 ottobre, è “ENCICLOPE_DIA”. L’artista, infatti, si caratterizza per l’utilizzo di  scatole da imballaggio su cui disegna con penne biro forme, figure e soprattutto scene di vita quotidiana. Durante la residenza, che si è svolta a cavallo tra ottobre e novembre 2019, è stata anche avviata un’importante collaborazione con la Fondazione Moleskine. Rodrigo Mabunda ha creato un’opera con uno dei loro taccuini.

Il ritmo frenetico pre pandemia, Venezia affollata dai turisti in tutta la sua maestosità, ha profondamente affascinato il giovane artista mozambicano, nato nel 1985.

La serie, frutto della residenza e attualmente esposta da AKKA Project, è costituita da 15 opere, realizzate sui cofanetti dell’Enciclopedia Universale dell’Arte.

Venezia e l’arte contemporanea africana: AKKA Project | Artist Residency

AKKA Project
Venezia e l’arte contemporanea africana AKKA Project Artist Residency  Rodrigo Mabunda, “ENCICLOPE_DIA”.

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L’artista narratore ha vissuto e lavorato tra due culture diverse ed il risultato è un’indagine delle intersezioni tra il sé e l’altro. Nei suoi disegni l’intreccio onirico tra corpi, gondole, dipinti e opere monumentali, rivendica una volontà che va oltre la materialità dell’immagine. Le nozioni di luogo e identità diventano molto fluide.

Il risultato è avvincente: del resto alcune opere di Rodrigo Mabunda fanno già parte della collezione Pigozzi.

Personalmente non vedo l’ora di curiosare anche tra le creazioni che Kelechi Charles Nwaneri sta realizzando in questi giorni.

Vi assicuro che le soprese non mancheranno.

 

 

REA! Art Fair colpisce nel segno – Art Nomade Milan

REA Art Fair

REA! Art Fair colpisce nel segno – Art Nomade Milan  Rea Art Fair

Si è conclusa con ottimi risultati la prima edizione della mostra mercato alla Fabbrica del Vapore. 

Inizialmente erano poche le persone che ci davano credito“, sottolinea con un sorriso Maryna Rybakova, ideatrice della manifestazione.

Insomma una sorta di progetto utopico che in molti sconsigliavano di perseguire, ma la caparbietà ha vinto.

E le idee dell’associazione culturale no-profit REA Arte non si fermano qui: il team promette altre “sorprese” nei mesi a venire, DPCM permettendo.

REA Arte è infatti la realtà che ha organizzato la mostra mercato alla Fabbrica del Vapore ed il suo organico è totalmente femminile, per caso e non per scelta.

Maryna Rybakova, la presidente, Maria Myasnikova, Elisabetta Roncati, Tuğana Perk, Laura Pieri, Paola Shiamtani, Pelin Zeytinc, Bianca Munari, Gohar Avetisyan, Beatrice Dezani, Antonella Spanu, Maria Ryseva: un affiatato gruppo multiculturale dove ogni membro ha svolto un ruolo ben preciso.

Rea Art Fair

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REA! Art Fair colpisce nel segno – Art Nomade Milan Il team di Rea Arte.

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Differenti nazionalità anche tra gli artisti partecipanti, di cui 29 provenienti da nazioni europee ed extra-europee, come Thailandia e Messico.

Cinque delle ragazze di REA Arte hanno svolto il compito di curatrici (Maria Myasnikova, Tuğana Perk, Laura Pieri, Paola Shiamtani e Pelin Zeytinci), selezionando tra oltre seicento candidature i cento artisti presentati durante la manifestazione.

Ai creativi è stato richiesto solo un piccolo contributo per partecipare all’open call, chiusasi in estate.

Ottimo anche il numero delle opere vendute, che ha permesso all’associazione di presentare dei bilanci in attivo.

Se non avete fatto in tempo a visitarla, eccovi i nomi degli artisti che vi hanno partecipato:

Adamou Elena; Arta Raituma; Asai Sayaka; Barletta Nausica; Bellini Gaia; Bislacchi;
Brandimarte Antonio; Camani Martina; Caruso Beatrice; Cecchini Alessandra; Cescon
Stefano; Cestrone Lavinia; Chinchue Alisia; Cichon Magdalena; Cogliati Leo; Colombini
Luna; Cordier Pauline; Costanzo Alessandro; Cro Dominique; Cubas Gianella; D’Amico
Michele; Dardano Valeria; Del Gatto Cecilia; Di Bonaventura Cecilia; Draghi Alessandra;
Dicker Ana; Elson Alexander; Falco Clarissa; Fasso Damiano; Fava Ernesto; Figuccio
Valerio; Freedman Naama; Furlan Giulia; Garita Robert; Gentzsch L.R; Gibertoni Fabian;
Granziera Maddalena; Gromoll Kim; Guarda Alessio; Gugliotta Eleonora; Guillaume Elise;

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Haas Sebastian; Hay Emily; Haywood Xander; Huang Jueyuan; Ivanova Anna; ILAZ;
Ishakoglu Sirma; Jonhardsdóttir Jana; Kenneally Anna; Koloosova Anna; Knowels Jeremy;
Lemberg Lvova Anastasia; Lotti Noela; Manes Steven Antonio; Marchetti Mattia; Martins
Natacha; Massa Benjamin Mario; Miners Jade; Moffat Freya; Morout Penelope; Narcisi
Fabrizio; O’Dononvan Elinor; Orazio Teresa; Pacelli Francesco; Papanti Lorenzo; Papp
Mattia; Perera Alejandra Valeria; Piras Yara; Pleuteri  Aronne; Prasse Antonella; Roaro
Eleonora; Rubegni Luca; Rubin Clara; Russo Valentino; Sa’ Fernandes Eurico; Salomone
Sergio; Sambo Giovanni; Schnitzer Clarissa e Utech Robert; Selvaggio Alessio; Semi
Audiovisual; Shaposhnikova Lena; Shuai Peng; Simone Jerusa; Siniscalco Gabriele;
Spolverini Agnese; Stavley Jonathan; Sugamiele Mattia; Temchenko Alisa; Ventura,
Chiara; Vera Vera; Vicentini Fabiano; Vinci Alessandro; Wu Mengyuan; Xu Yang; Zancana
Vincenzo; Zapf Margherita; Zicari Nuccio; Zornetta Giacomo; Zotti Federica.

Inoltre, a questi si sono aggiunti anche 4 guest artistsMyasnikova Maria, Rebor, Martini Matete e Zeytinci Pelin.

Rea Art Fair

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REA! Art Fair colpisce nel segno – Art Nomade Milan Cecilia Di Bonaventura, “Estetica della difesa (I)”, video installazione.

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L’idea alla base di REA! Art Fair è nata dalla constatazione dell’assenza nel panorama italiano dei cosiddetti “degree show”: le mostre di fine corso accademico che consentono agli artisti emergenti un primo confronto con il mercato.

É per questo che il team di REA Arte si è dedicato ai creativi alle prime armi, senza discrimine di età e evitando di scaricare sui partecipanti i costi di gestione della mostra mercato.

La fiera era suddivisa in 6 sezioni espositive (fotografia, digital art, performance, pittura, scultura, installazioni) e comprendeva più di 150 opere. Personalmente ho trovato molto interessante la parte dedicata alla digital art.

Inutile sottolineare che i prezzi erano ben esposti, sfidando così determinate “prassi” ancora in vigore nel sistema dell’arte contemporanea.

Uno degli obbiettivi di REA! Art Fair è stato proprio quello di garantire il maggior livello di trasparenza possibile.

Inoltre, vi è ancora la possibilità di acquistare le opere online sul sito www.reafair.com , così come il catalogo della manifestazione anche in limited edition.

I proventi derivanti da eventuali vendite vanno, in buona parte, a sostegno degli artisti medesimi.

Infatti, per sovvenzionare tutto l’apparato, è stata lanciata qualche mese fa una campagna di raccolta fondi su GoFundMe

REA Arte ha così portato nella città di Milano un’idea nuova di fiera, che non si concentra sulle gallerie bensì sugli artisti.

mostra mercato

Rea Arte
REA! Art Fair colpisce nel segno – Art Nomade Milan Da sx a dx Laura Pieri, Maria Myasnikova, Elisabetta Roncati, Maria Ryseva, Tugana Perk, Maryna Rybakova.

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Il Comune meneghino è stato ben felice di patrocinare il tutto e non sono mancate nemmeno collaborazioni con numerose altre istituzioni cittadine e regionali. Tra i partner si elencavano infatti: Artsted, Attiva, Fondazione Adolfo Pini, Hub Art, MF Manifutura collective, MoCDA (Museum of Contemporary Digital Art).

Invece i media partner sono stati: Artebella, Art Nomade Milan, Artribune, The Artists and The Others, The Art Gorgeous, Future young talent, Milano Beat Radio.

Prendendo dunque posizione al fianco dei giovani artisti la fiera ha creato un dialogo tra nuovi meritevoli talenti, collezionisti, grande pubblico e istituzioni.

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Durante la manifestazione sono stati assegnati differenti premi: la Fondazione Adolfo Pini ha messo a disposizione due riconoscimenti del valore di Euro 1.500 ciascuno andati a Freya Moffat e Yara Piras. Una decisione presa dalla giuria composta da Adrian Paci e Marco Meneguzzo.

Inoltre ben 10 creativi si sono aggiudicati il REA! Art Prize, che garantisce la possibilità di esporre le opere a Milano durante una mostra specifica che sarà organizzata nei prossimi mesi.

I fortunati sono stati: Jeremy Knowles, Peng Shuai, Clara Rubin, Lorenzo Papanti, Alessio Guarda, Alisa Chunchue, Dominique Cro, Giacomo Zornetta, Kim Gromoll, Leo Cogliati.

Ha completato l’offerta un ricco panel di conferenze, svolte su diverse piattaforme online, quali Zoom e Facebook. Gli argomenti trattati sono stati: collezionismo e arte contemporanea, mercato emergente, identità e rappresentazione, nuovi progetti editoriali e spazi espositivi al femminile. Un’occasione di confronto su temi attuali nel mondo dell’arte, dibattuti da illustri professionisti di settore.

Gli interventi sono ancora visionabili sulla pagina Facebook Rea Fair.

Senza dubbio REA! Art Fair si è dimostrata, a pieno titolo, come un’occasione per fruire d’arte, di creatività e di cultura a 360 gradi.