Digitalizzazione e Musei: scopriamo il MoCDA – Art Nomade Milan

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Digitalizzazione e Musei: scopriamo il MoCDA – Art Nomade Milan

In questi mesi non si è fatto altro che parlare di realtà virtuale e Musei, di digitalizzazione delle visite per sopperire alla chiusura forzata dei luoghi di cultura, causata dall’emergenza sanitaria globale.

In realtà qualcuno si era già rivolto al mondo dell’online in tempi non sospetti…

A quanto pare la riapertura degli spazi italiani dedicati all’edutainment si fa sempre più vicina. Il “liberi tutti” culturale è previsto il 18 Maggio, ma, sembrerebbe, non tutto sarà come prima.

Da assidua lettrice di ArtEconomy24, rubrica dedicata al mercato dell’arte del Sole24Ore, traspare quanto abbiano sofferto, in termini economici, tutti gli operatori del settore, soprattutto quelli di medio piccole dimensioni.

Digitalizzazione e Musei: scopriamo il MoCDA – Art Nomade Milan

Certo, lo si poteva immaginare: quasi due mesi di stop forzato, i costi fissi da coprire e la paura di perdere il pubblico aficionado a causa della consueta formula “lontano dagli occhi, lontano dal cuore“. Così quasi tutte le realtà hanno ripiegato sull’online. Profili social, un tempo semi abbandonati, sono diventati attivissimi: dirette, tutorial…il mondo dell’arte sembra, finalmente, aver scoperto le potenzialità del web.

Meglio tardi che mai sperando che, una volta tornati alla normalità, si continuino a sfruttare queste possibilità, magari con calendari e piani editoriali ben definiti.

Digitalizzazione e Musei: scopriamo il MoCDA – Art Nomade Milan

In realtà c’era già chi si era accorto dei vantaggi derivanti dagli strumenti digitali in tempi non sospetti.

È il caso del MoDCA, Museum of Contemporary Digital Art.

Serena Tabacchi, co-founder, CEO e direttrice, ne ha svelato tutti i segreti a Art Nomade Milan.

– Serena, ci racconti cosa è il MoCDA, Museum of Contemporary Digital Art? 

MoCDA e’ un Museo dedicato all’arte contemporanea digitale. MoCDA nasce dalla voglia di creare uno spazio virtuale, non votato esclusivamente alla promozione, ma anche alla conoscenza ed esposizione di progetti d’arte contemporanea e tecnologia. 

– Un vero e proprio Museo virtuale dedicato alla digital art, una piattaforma o entrambe le cose?

MoCDA sta diventando uno spazio interattivo online dove si potrà navigare ed esplorare l’arte digitale in queste maniere: VR (realtà virtuale), AR (realtà aumentata), XR (mixed reality), sculture 3D, generative photography, crypto arte, video arte, arte generativa e programmabile, GIFs, net art, multimedia art e molto altro. Il museo offre ai visitatori l’opportunità di comprendere come l’arte digitale venga ideata e creata dagli artisti, con attenzione all’integrazione ed alla comunicazione tra il creativo e la tecnologia.

Digitalizzazione e Musei: scopriamo il MoCDA – Art Nomade Milan

Un esempio? L’arte creata con il machine learning, AI o la robotica. Il nostro obiettivo è quello di offrire al pubblico una visione curatoriale dell’arte che vediamo intorno a noi. Penso ai social media o ai film hollywoodiani, che spesso non apprezziamo nella loro forma artistica perché inseriti in un contesto più ampio. Gli artisti, ma anche il mercato dell’arte digitale, è in parte sottovalutato perché spesso non gli viene attribuito il giusto valore. Riconoscere l’arte digitale e dargli spazio è quello di cui ci stiamo occupando.

– Quali sono le modalità di fruizione da parte del pubblico e da parte degli artisti?

MoCDA vive online! Siamo un progetto fully digital. Ciononostante ci manca molto poter presentare arte digitale in spazi fisici come abbiamo fatto alla Tate Modern, alla Bloomsbury Gallery di Londra ed alla CADAF, Contemporary & Digital Art Fair, a Miami.

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Digitalizzazione e Musei: scopriamo il MoCDA – Art Nomade Milan “Random Access”, Tate Modern, Novembre 2019.
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Digitalizzazione e Musei: scopriamo il MoCDA – Art Nomade Milan   Bloomsbury Gallery, Febbraio 2020.

L’arte, le interviste live, i meet up, le visite agli studi degli artisti ed i progetti curatoriali sono visibili sui nostri social Instagram e Twitter, @mocda_ . Inoltre, su YouTube e Spotify, trovate i live e le interviste del Museum of Contemporary Digital Art. Abbiamo anche un sito internet, mocda.org ed una newsletter. 

– Visitatori, artisti, collezionisti: come fanno a consultare il materiale messo a disposizione dal MoCDA?

Quando abbiamo creato il MoCDA credevamo fosse necessario avere uno spazio fisico dove poter esporre arte digitale, ma più ci siamo addentrati in questo campo più abbiamo scoperto che la maggior parte dell’arte digitale viene fruita online, nello specifico sui social media. Tutti i nostri progetti sono sul web, molti ancora in fase embrionale come la collezione e due esposizioni. A queste stanno lavorando i nostri curatori, tra cui Eleonora Brizi, Stina Gustafsson e Chloe Diamond. Quest’anno siamo stati invitati come partner curatoriale alla prima fiera d’arte contemporanea digitale completamente online (CADAF), assieme al Lumen Prize, The Award for Art and Technology.

– Come e quando è nata l’idea del MoDCA?

L’idea e’ nata circa un paio di anni fa quando uno dei nostri fondatori, Dominic Perini oggi CTO di MoCDA, ha partecipato al primo “Art + Tech” summit alla casa d’aste Christie’s a Londra. In quell’occasione ha incontrato Jason Bailey, fondatore di Artnome, e Georg Bak. Così sono iniziate le prime conversazioni su come poter creare una collezione d’arte digitale e un museo dove esporla. Poco dopo io ho conosciuto Tom Van Avermaet, regista e curatore alla Tate Modern: abbiamo così deciso di fondare il MoDCA. Il team si è poi ampliato, includendo il supporto di rinomati consulenti in ambito arte e business development.

– Un team internazionale arricchisce, ma è anche una bella sfida. Come fate ad organizzare le attività e a coordinarvi?

Ci sentiamo spessissimo e siamo sempre connessi. Siamo un team compatto e ognuno di noi e’ impegnato in diversi progetti nel campo dell’arte e della tecnologia. Organizziamo meeting settimanali e, quando possibile, ci incontriamo di persona. La maggior parte di noi vive in Inghilterra, ma anche in Germania, in Svizzera, in Italia, in USA e in Canada. Siamo una famiglia allargata, ma molto unita. Essere disciplinati e’ molto importante quando si lavora online. Sono convinta che si risparmi molto tempo e molte risorse se si evitano spostamenti in aereo non necessari. L’ambiente ci sta a cuore e il cosiddetto “smart working” per noi non e’ una novità, piuttosto un modo per essere connessi e lavorare in maniera armoniosa accorciando le distanze.

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Digitalizzazione e Musei: scopriamo il MoCDA – Art Nomade Milan  MoCDA team (Dominic Perini, Serena Tabacchi, Maria Cynkier, Chloe Diamond, Georg Bak, Daniel Liau, Andreea Iosub, Marek Woloszyn)

– Avete puntato sull’arte digitale in tempi non “sospetti”: come stanno cambiando le vostre attività in questo periodo di lockdown globale? Avete, ad esempio, riscontrato un incremento delle visite?

E’ stato sorprendente vedere come moltissime istituzioni e gallerie, nel giro di poche settimane, abbiano messo a disposizione intere collezioni ed eventi online. Il  COVID19 ha lasciato musei e gallerie d’arte vuote ed era necessario trovare un modo per rendere l’arte accessibile al pubblico. Attualmente c’è una sovrabbondanza di arte ed eventi culturali online, podcast, dirette e viewing room. Si rischia di creare molta confusione tra gli appassionati del settore.

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Navigare in internet e trovare quello che ci interessa e’ diventato più complicato del solito e spesso ci si dimentica addirittura cosa si andava cercando. Quello che abbiamo appreso da questa ondata di eventi online è che creare una galleria o una viewing room online non è semplice. Si devono prendere in considerazioni le cosiddette “regole di internet”. Questo e’ un punto spesso sottovalutato. 

Digitalizzazione e Musei: scopriamo il MoCDA – Art Nomade Milan

A volte si crea uno spazio virtuale navigabile, perdendo di vista lo scopo per il quale lo si è generato. Internet ha rappresentato per molti uno modo per rendere accessibile l’informazione, in questo caso artistica, ma è bene porsi anche alcune domande. Stiamo involontariamente creando delle barriere per la nostra audience? Se così fosse bisogna pianificare l’architettura del nostro futuro spazio online a misura delle opere che andrà ad ospitare e dell’osservatore che vi accederà. Un percorso di questo genere richiede tempo. L’arte digitale sembra “facile” da esibire, ma è esattamente il contrario.

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L’arte “on screen” deve essere esposta, in accordo con le direttive dell’artista, sullo schermo e, come sappiamo,i generi d’arte digitale sono molteplici, tanti quanti i modi per esporre. È un processo che deve coinvolgere curatori, artisti e architetti dello spazio virtuale che studiano insieme l’esperienza da ricreare, adattandola allo location, sia questa virtuale o fisica.

– Secondo voi l’arte digitale sarà l’arte del futuro? E come si concilierà con i mezzi espressivi tradizionali e con i Musei “vecchio stampo”?

L’arte digitale è il presente e sarà sempre più apprezzata e valorizzata in futuro. I musei e le gallerie si stanno già adattando per introdurre opere d’arte digitale nelle loro collezioni. Non dimentichiamoci che le prime sperimentazioni tra artisti ed ingegneri cominciarono verso la metà degli Anni Sessanta del Novecento. Ad esempio il collettivo newyorchese E.A.T. (Experiments in Art and Technology), con a capo alcuni tra gli artisti pionieri del settore come Robert RauschenbergRobert Whitman.

Digitalizzazione e Musei: scopriamo il MoCDA – Art Nomade Milan

Opere di quel genere sono poi entrate a far parte delle collezioni di arte contemporanea che oggi conosciamo. Uno degli aspetti più accattivanti del digital è la possibilità di esprimere la creatività dell’artista anche senza uno studio dove dipingere o scolpire. Oggi molti spazi, un tempo accessibili per alcuni artisti, sono diventati inarrivabili sia per questioni economiche, sia di mobilità. Il modo in cui viviamo e ci rapportiamo alla realtà che ci circonda è in continua evoluzione e la tecnologia fa parte del nostro modo di comunicare e creare. Inoltre il modello classico del trasporto di opere d’arte richiede estrema cura. Con il digitale ci sono moltissimi vantaggi: ad esempio si possono creare modelli 3D pre trasporto.

Digitalizzazione e Musei: scopriamo il MoCDA – Art Nomade Milan

Le possibilità sono aumentate, ma la creatività e il talento rimangono per ogni artista il vero modo per affermarsi nel settore dell’arte e tra i collezionisti.

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Digitalizzazione e Musei: scopriamo il MoCDA – Art Nomade Milan  Sala VR alla Tate Modern durante la mostra dedicata ad Amedeo Modigliani, 2018.
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Digitalizzazione e Musei: scopriamo il MoCDA – Art Nomade Milan Ricostruzione dello studio di Amedeo Modigliani in virtual reality, Tate Modern, 2018.

– Puoi svelarci alcuni dei vostri progetti futuri?

Al momento stiamo lavorando a diversi progetti che includono: la produzione di mostre di arte contemporanea e digitale online, la selezione della nostra collezione di arte digitale, nonché la promozione dell’educazione alla tecnologia. Il nostro prossimo appuntamento, al quale invitiamo tutti a partecipare, è la prima fiera d’arte interamente digitale, CADAF, che si terrà online a dal 25 al 28 giugno 2020, in collaborazione con Beaux Arts & Cie. Vi aspettiamo!

Arte extraeuropea ed esposizioni: nuove sfide per i Musei delle “Culture”

Arte extraeuropea ed esposizioni: nuove sfide per i Musei delle “Culture”

Acquisizioni, restituzioni, cambiamento di mentalità: tutte prove che attendono i Musei delle “Culture”. Con l’emergenza COVID-19 le operazioni sono in stand by, ma il dado pare tratto 😉

Da alcuni anni i vecchi musei etnologici ed etnografici stanno subendo una radicale trasformazione. Il cambiamento maggiormente visibile per il grande pubblico è quello del nome: Museo delle “Culture”, Museo delle “Civiltà”. Quasi non si sapeva più come ri-definirli.

Sembrava di avere a che fare con qualcosa di spinoso, avendo tanta paura di commettere un passo falso.

Del resto, nell’era della comunicazione di massa, le critiche sono dietro l’angolo e lo “scandalo” è a portata di click. Rimanere nei confini del politically correct obbliga ad essere “funamboli”: si ha sempre paura di cadere e commettere un torto verso questa o quell’altra realtà sociale.

Oltre alla ri-definizione del nome, anche le collezioni degli ex musei etnografici non sono rimaste indenni.

Come sono arrivate quelle opere in Europa?!

In maniera lecita o illecita?!

I proprietari, in origine, sono stati forzati a separarsi da oggetti simbolici e di culto?!

Arte extraeuropea ed esposizioni: nuove sfide per i Musei delle “Culture”

Ma facciamo un passo indietro: con etnologia si intende quella parte dell’antropologia che si occupa di studiare e confrontare le popolazioni attualmente esistenti nel mondo, mentre con etnografia si fa riferimento al metodo con cui operano le ricerche sul campo nelle scienze etnoantropologiche.

Stiamo, dunque, parlando di arti “tribali” o “primarie”…ecco mi pare già di aver offeso qualcuno definendole così -.-

Insomma maschere, statue, oggetti di culto, da cerimonia, ma anche di uso quotidiano (libri, documenti, filmati) tipici di culture extra europee.

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Arte extraeuropea ed esposizioni: nuove sfide per i Musei delle “Culture”. Foto scattata durante la mostra “Ex Africa”, Museo Civico Archeologico, Bologna 2019.

Ed in questo mare magnum c’è una storia che voglio raccontarvi e che, penso, pochi di voi conoscano.

Tre anni fa, nel Novembre 2017, il presidente delle Repubblica Francese Emmanuel Macron, si trovava in visita ufficiale in Burkina Faso e, durante un discorso all’Università di Ouagadougou, ha rilasciato delle dichiarazioni memorabili.

Ha, infatti, affermato che il “patrimonio africano non può rimanere prigioniero dei musei europei”. Insomma, di lì a tre anni sarebbe iniziato il processo di restituzione definitiva o temporanea delle opere conservate nelle istituzioni pubbliche francesi.

Un bel colpo! E non solo per i nostri vicini d’Oltralpe!

Arte extraeuropea ed esposizioni: nuove sfide per i Musei delle “Culture”

Si calcola, infatti, che la quasi totalità del patrimonio storico artistico africano si trovi al di fuori del continente.

Una grande parte in Francia, è vero, ma non solo.

Belgio, Germania, Gran Bretagna, Austria ed anche Italia possiedono molti reperti.

Se calcoliamo l’insieme di quanto rimasto nella propria terra d’origine, all’interno dei Musei, arriviamo a circa 3.000 pezzi.

Perché le istituzioni culturali esistono anche in Africa, eccome se esistono!

Certo, non tutti i 54 stati riconosciuti hanno delle strutture museali sviluppate.

Parlando di Africa subsahariana, Camerun, Senegal, Nigeria, Kenya, Ghana, Namibia, Sud Africa sono in testa in quanto a numero di organizzazioni culturali modernamente organizzate.

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Arte extraeuropea ed esposizioni: nuove sfide per i Musei delle “Culture”. Mappa delle istituzioni culturali presenti in Africa subsahariana, courtesy of “Restituer le patrimoine africain“, Philippe Rey/Seuil, 2019.

Arte extraeuropea ed esposizioni: nuove sfide per i Musei delle “Culture”

Eppure le loro opere d’arte rimangono nelle strutture europee.

Ben 70.000 reperti al Musée du Quai Branly, Parigi;

75.000 oggetti al Humboldt Forum, Berlino (inaugurazione nel 2020);

180.000 al Musée royal de l’Afrique centrale, Tervuren (Belgio);

69.000 opere al British Museum, Londra;

37.000 al Weltmuseum, Vienna;

70.000 ai Musei Vaticani, Città del Vaticano.

All’appello mancano i reperti conservati nei piccoli musei di provincia, in quelli privati o di proprietà di confraternite religiose.

Ma quando è iniziato questo vero e proprio export di opere d’arte?

All’incirca a fine XIX secolo, quando, dopo la Conferenza di Berlino (1884/1885), iniziò la spartizione dell’Africa da parte delle potenze europee.

Arte extraeuropea ed esposizioni: nuove sfide per i Musei delle “Culture”

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Arte extraeuropea ed esposizioni: nuove sfide per i Musei delle “Culture”. Spartizione dell’Africa da parte delle potenze europee.

Così le dichiarazioni di Emmanuel Macron a Ouagadougou hanno provocato effetti anche in altri stati europei, soprattutto all’interno dei cosiddetti Musei delle “Culture”.

Molte associazioni africane si sono mosse per chiedere provvedimenti simili ai propri governi, soprattutto in Germania.

Richieste non nuove: già all’inizio degli Anni Sessanta alcuni stati nazionali africani, di recente costituzione, avevano avanzato simili domande.

Considerate che era il periodo dell’indipendenza delle colonie: il Ghana è stato il primo stato dell’Africa nera ad ottenerla, nel 1957.

Così anche l’UNESCO si era interessato al tema, nel 1978.

Ma non basta una decisione governativa per innescare il processo. Servono studi adeguati per arrivare allo spostamento delle opere.

Così la Francia ha assegnato ufficialmente l’incarico ad un pool di studiosi, che ha messo in piedi un programma di ricerca ed azione riassunto nella pubblicazione “RESTITUER LE PATRIMOINE AFRICAIN“, redatta da F. Sarr e B. Savoy e pubblicata a Novembre 2019.

Ma quali sono le maggiori difficoltà che i ricercatori hanno incontrato in questo percorso? Complessità che tutti gli stati europei incontreranno una volta che aderiranno a tale processo.

– LEGISLAZIONE 

Molto spesso, all’interno delle costituzioni nazionali, esistono delle clausole che ostacolo un’eventuale restituzione, soprattutto se permanente. Tornando all’esempio francese, l’”inalienabilità del patrimonio nazionale” è uno dei nodi ancora da sciogliere per poter mettere in pratica lo spostamento dei beni.

– ACCERTAMENTO DELLA PROVENIENZA

Se molti beni sono stati acquisiti durante il periodo coloniale, in maniere non proprio legittime, altri sono stati acquistati sul mercato antiquario. E qui si apre un bel dibattito: la loro provenienza è lecita? Bisogna distinguere tra beni legalmente ottenuti, anche tramite donazioni da parte di capi di stato non collusi, e beni provenienti da fonti illecite.

– INVENTARI ED ACCOMPAGNAMENTO DELLE OPERE

Il numero dei reperti presenti in Europa non è chiaro. Come accennato in precedenza mancano all’appello le testimonianze custodite nei piccoli musei provinciali. Chiaramente, nel progetto francese, non sono compresi i musei e le collezioni private. Inoltre, al di là delle sculture ed altre forme di espressione, ci sono anche i documenti, i manoscritti, i libri: le testimonianze custodite negli archivi europei meriterebbero un’indagine a sé stante.

Una volta risolti i punti di cui sopra, scelti i beni da restituire (processi, appunto, lunghi e complessi), bisognerà mettere in piedi un team bilaterale di studiosi che accompagnino il trasporto degli oggetti e soprattutto il loro ricollocamento locale. Servirà, inoltre, un sistema amministrativo collaudato per favorire l’inoltro delle domande di restituzione da parte dei singoli stati.

Burocrati, antropologi, psicologi, storici dell’arte, giuristi: numerose figure professionali dovranno essere coinvolte.

Al momento non ho notizie dei progressi raggiunti sul fronte della restituzione da parte della Repubblica francese.

Spero vivamente che, dopo tanti discorsi e dispendio di energie, non finisca tutto nel “dimenticatoio”.

L’Italia, al momento, sembra la nazione meno toccata da questo movimento, latente agli occhi dei più, ma che in realtà si è messo in moto.

Arte extraeuropea ed esposizioni: nuove sfide per i Musei delle “Culture”

Ma siamo davvero sicuri che non ci tocchi?!

L’annosa questione dell’Obelisco di Axum dovrebbe averci insegnato qualcosa…perlomeno a non farci trovare impreparati.

La popolazione europea è sempre più vecchia, quella africana sempre più giovane.

Se davvero vogliamo portare sviluppo nel continente al di là del Mar Mediterraneo, di cui ogni giorno parlano i tg nazionali, dobbiamo iniziare ad aiutarli nella ricostruzione delle loro radici.

Mercato dell’arte, questo “sconosciuto”… – Art Nomade Milan

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Mercato dell’arte, questo “sconosciuto”… – Art Nomade Milan

Molti ne parlano, soprattutto negli ultimi anni. I servizi inerenti aumentano, ma siamo sicuri di destreggiarci con abilità nei meandri della finanza “artistica”?  Art Nomade Milan cercherà di darvi una mano

La sensazione che si ha, parlando di mercato dell’arte, è che tutti si sentano “esperti”, per poi cadere in inganno alla prova dei fatti.

Visto l’exploit del settore sono aumentati in maniera esponenziale anche i manuali che promettono di far luce su temi tutt’altro che facili e tutt’altro che chiari.

Oltre alle regole “scritte” esiste, infatti, un mondo di prassi che solo lavorando sul campo si riesce ad apprendere. Molto spesso un libro non basta, anche se è già una buona base di partenza.

Ma quale manuale scegliere?!

E qui si apre un mondo: la maggior parte delle edizioni valide sono in lingua inglese, altre sono zeppe di tecnicismi che solo un laureato in giurisprudenza riesce a comprendere fino in fondo.

Un buon compromesso, in questa giungla di offerte, è il volume “Professione arte“, ideato da Andrea Concas ed edito da Mondadori Electa.

Normalmente non sono solita sponsorizzare chicchessia prodotto o servizio, ma questa volta ne vale la pena.

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Mercato dell’arte, questo sconosciuto… – Art Nomade Milan   Copertina del libro ideato da Andrea Concas

Sfogliando il libro, che mi è arrivato da un mesetto circa, mi è così venuta un’idea: ma perché non redigere qualche articolo easy easy sul tema?! Del resto ho già una sezione del mio sito web dedicata proprio al MERCATO DELL’ARTE…

Ecco a voi, quindi, il primo articolo di questa nuova serie che spiega, in maniera “semplice”, il mercato dell’arte facendo riferimento a: “Professione arte. I protagonisti, le opportunità di investimento, le nuove sfide digitali” 😉

Mediamente un visitatore si ferma 27 secondi ad ammirare un’opera d’arte in un Museo. Parlare di ciò durante il World Art Day Unesco fa ancora più effetto.

Quante informazioni possiamo assorbire durante le visite ai luoghi artistici?! A quanto pare molto poche, quasi nulla in merito all’acquisizione di quelle stesse opere ed alla loro storia prima di approdare nel Museo. Racconti, spesso, interessantissimi.

Meglio, quindi, partire dalle basi del settore 😉

Di seguito le prime nozioni!

–  SISTEMA DELL’ARTE    mercato arte

Persone (artisti, galleristi, collezionisti, critici, curatori, operatori museali, giornalisti…), oggetti (opere d’arte), luoghi (gallerie, istituzioni culturali). Insomma, la nervatura del “favoloso” settore o mercato culturale. Negli ultimi decenni, complice lo sviluppo del web, si sono inserite negli ingranaggi di questo colosso nuove professionalità e specializzazioni.

Tutti pronti a mangiare una “fetta di torta”, ma il dessert basterà per tutti?

A quanto pare sì, vista la stima annua del valore di mercato dell’ambito: 20 miliardi di dollari. Senza il “sistema” non si può parlare di arte. Tutto sommato, anche gli artisti ribelli ed indipendenti facevano parte di quello stesso meccanismo che combattevano, o le loro opere sono entrate a farne parte dopo la loro dipartita.

– CURATORE D’ARTE

Professionista che coglie l’essenza delle opere d’arte, il loro messaggio, si interfaccia con l’artista (se ancora in vita) e crea un format espositivo da presentare al pubblico. Svolge un ruolo di mediazione tra varie figure: collezionisti, direttori di musei, gestori di spazi espositivi, allestitori, eventuali sponsor. Raccoglie informazioni, ordina dati al fine di presentare ai futuri visitatori un prodotto culturale (mostra) completo, dal punto di vista storico artistico, e facilmente fruibile, dal punto di vista espositivo.

Quindi curatori come mediatori e come…star del sistema, soprattutto negli ultimi anni 😉

La fama di alcuni di essi è, infatti, cresciuta enormemente, a discapito, a volte, degli stessi artisti. Per indagare al meglio questa professione consiglio il volume della Johan & Levi EditoreCuratori d’assalto. L’irrefrenabile impulso alla curatela nel mondo dell’arte ed in tutto il resto“, di David Balzer.

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Mercato dell’arte, questo sconosciuto… – Art Nomade Milan Copertina del libro di David Balzer

ART ADVISOR  mercato arte

Affianca e consiglia il collezionista nella creazione, gestione, valorizzazione o dismissione della sua collezione. Consulente indipendente, opera nel campo dell’ottimizzazione finanziaria dei beni artistico culturali. Insomma, un po’ il trait d’union tra finanzia e storia dell’arte ;).

Paradossalmente, per una professione così delicata, non esistono corsi di studio specifici.

Ogni tanto compare qualche master, validissimo quello dell’Università degli Studi di Milano o i percorsi proposti dall’Università IULM, ma è la gavetta sul campo il vero strumento di formazione. Lavorare per case d’asta, gallerie, musei, istituti finanziari consente di mettere assieme quelle conoscenze storico artistiche ed economiche fondamentali per svolgere questo mestiere, oltre al crearsi l’indispensabile rete di contatti.

MERCATO PRIMARIO

Quante volte noi, appassionati d’arte, ne abbiamo sentito parlare, assieme al suo “partner” ovvero il cosiddetto “mercato secondario” ?!

Con questa dicitura si intendono i primi scambi, transazioni, di opere d’arte tra artista e/o galleria d’arte/collezionista. La galleria, in questo primo approdo sul mercato, gioca un ruolo determinante: stabilisce il prezzo dei beni, cercando di non sottostimare né sovrastimare le creazioni. Non c’è niente di peggio che creare una “bolla speculativa”, soprattutto ad inizio carriera. A volte gli artisti si propongono direttamente alle case d’asta specializzate in questo segmento: una bella assunzione di rischio, se si considera che un eventuale invenduto peserebbe molto sui passi successivi. Il “mercato primario” non coinvolge solo i creativi alle prime armi, ma anche gli artisti affermati quando propongono, ad esempio, una nuova produzione.

MERCATO SECONDARIO

Ed ecco l’altra faccia della medaglia. Con “mercato secondario” si parla di vendite successive alla prima. Qui si raggiungono i prezzi milionari di alcune opere, che tanto colpiscono l’opinione pubblica.

È il regno incontrastato delle case d’asta, che danno grande visibilità ai loro incanti indicando, poi, i costi di aggiudicazione che fanno “notizia”.

Ma di questi particolari soggetti del sistema dell’arte ne parleremo in un prossimo articolo 😉

COEFFICIENTE D’ARTISTA   mercato arte

Devo confessarvi che è uno dei primi termini che ho sentito nominare, quando ho iniziato a lavorare in questo mondo, e uno degli ultimi che ho compreso!

La domanda che si rincorre frequentemente negli spazi commerciali devoti all’arte è: “Quanto vale?”. Per calcolare il prezzo di un’opera è essenziale conoscere il cosiddetto “coefficiente d’artista”, che nasce grazie al curriculum del creativo, al numero di mostre effettuate, alla presenza di opere in importanti collezioni museali e private, alle pubblicazioni ottenute. Esiste, però, una vera e propria formula matematica per definire il valore economico di una creazione. Essa include il coefficiente: un punteggio che parte da 0,2 (artisti ad inizio carriera) ed arriva anche fino a 10 (artisti noti). Vero è che, arrivati ad una certa soglia di notorietà, sono i risultati d’asta a dettare i parametri economici delle quotazioni.

Eccovi, dunque, la tanto famigerata formula “magica”:

[(base+altezza)*coefficiente]*10 = prezzo di un’opera

Sembra tutto facile, ma in realtà esistono delle eccezioni a questa “regola”: la produzione di più copie di una singola opera fa diminuire il coefficiente. Momenti di grande creatività e sperimentazione di tecniche possono farlo salire.

Insomma, il coefficiente d’artista è uno strumento di “orientamento”.

La questione inizia a farsi “spinosa”, non vi sembra?!

E pensare che mancano ancora all’appello la disamina delle già citate case d’asta e del loro funzionamento, la trattazione della “due diligence“, l’analisi dei principali contratti che si applicano nel mondo artistico.

È proprio di ciò che parleremo nei prossimi articoli 😀

Il mercato dell’arte islamica online – Art Nomade Milan

mercato arte islamica

Il mercato dell’arte islamica online – Art Nomade Milan

Stante l’emergenza mondiale da COVID-19, tutti gli incanti si svolgono online. Esiste addirittura un’intera settimana dedicata alle vendite di arte islamica…la conoscete?!

Appuntamenti sospesi, consuete aste primaveriali newyorkesi rinviate a giugno.

Il virus non risparmia nemmeno le major del mondo dell’arte, che puntano ad abbattere i costi operativi.

È di alcuni giorni fa la notizia che Sotheby’s ha avviato un piano di tagli al personale, che porterà ad una riduzione di circa 200 dipendenti.

Christie’s, al momento, non sembra agire sulla forza lavoro interna, ma solo sui collaboratori esterni.

Entrambi i colossi hanno assicurato che non vi saranno cambiamenti all’interno dei dipartimenti specializzati, tra i quali spicca quello di…arte islamica.

Il mercato – Art Nomade Milan

Qualche giorno fa, mentre ero a “zonzo” sul web, sono capitata sul sito di Sotheby’s e mi è saltata all’occhio una definizione: “Islamic Week”.

Ebbene sì: due volte l’anno, ad aprile e ad ottobre, vi è un’intera settimana dedicata agli incanti di questa speciale nicchia di mercato. Come sempre, anche la competitor Christie’s non è da meno e sviluppa il medesimo format, all’incirca nello stesso periodo temporale.

Artcurial, invece, casa d’aste francese nata nel 2002, ha creato un evento speciale: la settimana di vendite PARIS#MARRAKECH, con aste che si svolgono a Parigi e nella cittadina marocchina.

L’azienda francese si sta facendo strada nel panorama del continente africano: ha aperto una sede in Marocco ed ha inaugurato il dipartimento di arte africana contemporanea.

Il mercato dell’arte islamica online – Art Nomade Milan

In questo frangente è però la storia di Sotheby’s ad essere davvero interessante.

La prima vendita di manoscritti islamici della casa londinese avvenne nel lontano 1755, durante la cessione di una collezione di testi provenienti dalla cittadina di Oxford. Nei secoli la major ha curato l’incanto di collezioni famosissime come la “Kevorkian Foundation Collection” (1967-83), la “Aryeh Family Collection” (1999) e la  “Khosrovani-Diba Collection” (2016). Proprio tra le mura londinesi sono stati toccati i record d’asta del settore: una magnifica pagina di un’edizione dello “Shahnameh” di Shah Tahmasp, famosissima epopea persiana (venduta per £ 7.433.250) ed un candeliere araldico mamalucco (venduto per  £ 4.521.250).

Oggi il dipartimento si occupa di miniature, ceramiche, dipinti, armi, vetro, oggetti metallici e di tutte le creazioni provenienti dal Medio Oriente fino ad arrivare, alcune volte, all’India.

mercato arte islamica
Il mercato dell’arte islamica online – Art Nomade Milan  Pagina dedicata al dipartimento di arte islamica (www.sothebys.com).

Islam – Art Nomade Milan

In questo annus horribilis, l’asta di “Arte del Mondo Islamico e dell’India“, prevista a fine marzo, è stata posticipata al 10 giugno. Tutti gli altri incanti sono finiti online.

Quindi un'”Islamic Week” primaverile un po’ sottotono, anche se alcune vendite non hanno deluso.

Tre gli eventi da seguire per gli appassionati di settore: “Modern and Contemporary African Art Online” (27/31 Marzo), “Important Works from the Najd Collection, Part II” (31 Marzo) e “The Orientalist Sale” (2/7 Aprile).

Piccolo mistero: le informazioni inerenti la vendita della seconda porzione della collezione Najd sono sparite dal sito (rinvio dell’incanto?! Sto aspettando delucidazioni dalla casa d’aste).

Assemblata durante gli anni Ottanta, la raccolta di arte orientale era la più importante al mondo in mani private. Per anni il suo proprietario è rimasto top secret. Era il milionario saudita Nasser Al Rashid.

Veniamo, però. agli incanti che si sono regolarmente svolti, il più interessante dei quali è stato la Orientalist Sale.

55 lotti, tra i quali dipinti e sculture che rappresentavano paesaggi, persone ed usanze del Nord Africa, dell’Egitto, dell’Arabia e del mondo ottomano. Dalle scene di culto alle vita quotidiana nei souq, la vendita è sempre stata un must dell’Islamic Week.

islam online – Art Nomade Milan

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Il mercato dell’arte islamica online-Art Nomade Milan  Henriette Browne, “Una visita: interno di un harem”  Courtesy of www.sothebys.com 

La quasi totalità delle opere datava fine XIX, inizi XX secolo e molte avevano per soggetto Costantinopoli.

Istanbul, come divenne nota agli occidentali all’inizio del XX secolo, attirò tantissimi artisti, che ne rimasero incantati. Tra questi anche un italiano, Fausto Zonaro (1854-1929), arrivato da Venezia e rimasto in città quasi venti anni. Divenne una figura di spicco dei circoli culturali oltre che, per un certo periodo, pittore di corte del Sultano Abdulhamid II.

Il Corno d’Oro, Hagia Sophia, le architettura rilucenti al sole, il porto…una città che continua ad affascinare anche ai nostri giorni, come ci ricorda il celebre scrittore Orhan Pamuk. Per l’uscita de “Il Museo dell’Innocenza“, aveva dichiarato di aggirarsi spesso, macchina fotografica alla mano, per le colline della moderna Istanbul. Da quelle alture si possono ancora ammirare i paesaggi “apprezzati dalle ambasciate straniere in epoca ottomana”.

arte online – Art Nomade Milan

E di magia si tratta, visti i risultati raggiunti dai 31 lotti venduti, considerato il periodo e la datazione dei pezzi.

Infatti, tra gli addetti del settore, circola la voce che i dipinti di fine Ottocento abbiano perso di valore negli ultimi anni. Rimasti in una sorta di “limbo”, a cavallo tra modernità e mercato antiquario.

Eppure l'”orientalismo” “tira” ancora…come mai?!

Vi lascio nel dubbio aspettandovi al prossimo articolo 😉

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Il mercato dell’arte islamica online-Art Nomade Milan Théodore Gudin, “Il Corno d’Oro“, courtesy of www.sothebys.com.

 

 

Esperire la resilienza giocando con il linguaggio: Lorenzo Marini

Lorenzo Marini

Esperire la resilienza giocando con il linguaggio: Lorenzo Marini

Immagini versus lingua scritta, arte che migliora la vita, consigli per i giovani creativi: abbiamo fatto quattro chiacchiere con l’artista Lorenzo Marini durante questo periodo di emergenza

Nel 2010, dopo anni passati nel settore pubblicitario, Lorenzo Marini esce allo scoperto e rende pubblico il suo innato talento per la creazione. Caposcuola del movimento “Type Art, tenuto a battesimo presso il milanese Palazzo della Permamente, espone alla  57° Biennale d’arte di Venezia. Una vita passata tra Milano, Los Angeles e New York, con puntate per esporre ad Art Basel Miami e a Dubai. Ma un grande artista come passerà questo periodo di crisi, caratterizzato dall’imperativo #iorestoacasa?

Lorenzo Marini lo svela ad Art Nomade Milan.

Quale è, secondo lei, il significato della scrittura per le giovani generazioni?

Il linguaggio contemporaneo sta cambiando molto rapidamente grazie, o per colpa, della necessità di parlare sempre più spesso a livello globale, planetario. Il mito della velocità e della contemporaneità ci ha spinto e ci spingerà alla semplificazione. La notizia non è più verticale e profonda, ma orizzontale e veloce. Easy, si direbbe, con tutte le conseguenze possibili. La convergenza multimediale, un computer che diventa televisione che diventa giornale, produce un linguaggio capace di sopravvivere a questa contaminazione, diventando veloce, frammentato, sincopato. Stupidamente easy. YouTube ha creato spezzatini visivi, Whatsapp ha creato telegrammi verbali, i social hanno creato frammenti di immagini condivise quasi tutte simili, grazie agli orribili filtri, che sono nati per differenziare e sono rimasti per omologare. Le nuove generazioni hanno, come dice il titolo “Out of Words” della mostra milanese da Gaggenau DesignElementi Hub, “perso le parole” e quella ricchezza-complessità della sintassi. In questo senso il linguaggio delle nuove generazioni è sempre più visivo, ma un visivo easy: stupido, un po’ banale e appiattito.

Lorenzo Marini
Esperire la resilienza giocando con il linguaggio: Lorenzo Marini Uno scatto tratto dalla mostra “Out of Words” in corso presso Gaggenau DesignElementi Hub

Davvero le immagini, le emoticon, rischiano di sostituire del tutto le parole? Un ritorno ai pittogrammi insomma….  Lorenzo Marini

La parte denotativa del nostro discorso digitale è diventata l’immagine. La parola scritta conta poco, in tempo di pensiero leggero.  Lo spazio interpretativo della frase è l’emoji. L’allegato è più importante del messaggio stesso. Così come il marchio diviene più importante del prodotto stesso. Il meme, la foto, la faccina si fanno parte integrante del parlare, come la gestualità durante i nostri discorsi. Anche nel linguaggio del commercio il marchio visivo è diventato il sostitutivo del verbale, da Nike a Apple, che usa l’immagine della mela e non la parola “apple”. Abbiamo sempre avuto i simboli attorno a noi. Basta pensare alla segnaletica stradale. Un’immagine è molto più veloce nel comunicare che una parola.

L’arte può ancora cambiare le nostre vite, aggiungervi un senso più profondo?

Una canzone, un libro o un’opera d’arte non possono mai cambiare una vita. La possono però migliorare. Innalzare. Arricchire. Il senso profondo è ricercato da pochi. Il termine surf ci racconta proprio questo: stare in superficie. La profondità si trova nel silenzio, ma ai più il silenzio fa paura. Abbiamo sempre bisogno di rumori, di suoni, di radio accesa, di media on line. Per nascondere il vuoto, abbiamo bisogno di rumori. Eppure il futuro sarà obbligatoriamente più profondo. Dovremo imparare a conoscere. Andare a vedere una mostra senza sapere nulla dell’artista non servirà a molto. Sarebbe come andare a vedere le vetrine nei negozi. “Si può amare solo ciò che si conosce” diceva Sri Yogananda. Dobbiamo imparare ad approfondire, se vogliamo amare.

Tanti anni passati in campo pubblicitario, nascondendo ai più la sua magistrale produzione di opere. Come mai questa scelta?  Lorenzo Marini

Ho dipinto per molti anni senza il bisogno di mostrare i miei lavori a nessuno. Lavorando come creativo nella comunicazione sono sempre on stage, sempre esibito, sempre condiviso, sempre “pubblico”, poiché questa è la natura della pubblicità. Brillantini di immagine su prodotti tutti uguali, dove la differenza lo fa il racconto, la scena, la storia, la musica, i colori. Così come il giorno è fatto per l’azione, la notte è fatta per la contemplazione. Il mio giorno era in technicolor, la notte in silenzio. I mezzi del giorno sono le riunioni e i computer, i mezzi della notte sono le tele. Ho incontrato un importante art manager che ha impiegato due anni a convincermi a fare la prima mostra. Sono grato a Milo Goj per questo trampolino. E a Di Pietrantonio per aver scritto il primo pezzo critico. E a Georges Berger, gallerista di New York, per avermi lanciato negli Usa.

Resilienza ai tempi del #iorestoacasa e dell’emergenza COVID-19. Ci racconta come è nata la sua ultima opera “C19SH” e ci descrive il suo significato?

C19SH” (acronimo di Covid 19 Stay Home ndr) è un’opera su rame che interpreta l’alfabeto così come lo conosciamo noi, in modo contestualizzato. Non puoi non vivere il tuo tempo. Non puoi non raccontarlo. E il mio Alphatype lo racconta a frammenti, come tessere diverse di un unico mosaico. La “Q” è una bomba, perché tutto è esploso rapidamente. La “C” diventa sigla del virus, aggiungendo il numero 19. Nella “S” le due frecce, invece di uscire verso l’esterno, vanno verso l’interno. La lettera “H” simboleggia la casa. La “B” è una bocca e simboleggia il bacio proibito di questi tempi. La “Z” è il finale di questa storia. Che non può che essere positivo.

Lorenzo Marini
Esperire la resilienza giocando con il linguaggio: Lorenzo Marini          L’opera “C19SH”.

Lo scorso anno l’installazione “AlphaCube”, presentata per la DesignWeek 2019 da Ventura Project, è stata esposta a Dubai. Come ha trovato il panorama artistico culturale degli Emirati Arabi Uniti? Lorenzo Marini

L’installazione “Alphacube” è stata un successo inatteso. È un’opera immersiva, un cubo di tre metri per tre che ti accoglie, ti abbraccia, ti avvolge. Cinque pareti di lettere senza parole, accompagnate da un suono di grammatica che diviene musica. Devo questo successo al curatore Sabino Maria Frassà, che ha fortemente voluto presentarlo al Fuorisalone durante la Design Week 2019, in collaborazione con Ventura Project. Da lì poi “Alphacube” è stato ospitato a Venezia da Tetis in occasione dell’ultima Biennale, a Spoleto per il Festival dei Due Mondi, a Dubai e infine a Los Angeles durante il LA Art Show, al Convention Center. La cosa strana era che c’era sempre la fila per andare dentro il cubo, per farsi i selfie. Pensavo di aver creato un’opera immersiva, in realtà ho scoperto che è diventata interattiva. Gli Emirati Arabi? Ho capito che il linguaggio è come il pane. C’è in tutto il mondo, ma ovunque ha una forma e un gusto diverso. Ecco, avrei dovuto aggiungere delle lettere arabe. Inizierò a studiare anche quelle.

In attesa della riapertura al pubblico dell’esposizione “Out of Words” presso Gaggenau DesignElementi HUB, ci racconta la nascita del suo iconico ciclo “Alphatype”?

Le cose nascono semplici. Le idee sono semplici: è l’uomo che è complicato. “Alphatype” è nato per caso. Come la maggioranza dei bambini nel mondo. Avevo completato un lavoro di tre anni, creando 5 alfabeti completi. Immagina il valore di ogni marchio-lettera se ci fosse stato un committente dietro. Di questi 150 type ne ho scelti metà da portare su tela o su acciaio, in formato 100×100 cm. Alla fine dei tre anni, ho fotografato queste opere e ho iniziato a riprodurle su formati più piccoli, mettendole assieme. Il lavoro di Alighiero Boetti, ovviamente, è eccezionale, ma è lontanissimo da me. Io trovo ispirazione maggiore nell’arte orientale, in un maestro come Xu Bing ed il suo Book from the Sky. Perciò il mio interesse in questa combinazione di lettere era la descrizione della perdita della parola, non il ritrovare un messaggio nel quadro. Le mie lettere formano “non-parole” senza significato, discorsi non-sense composti da successioni di lettere-immagini. Il mio modus operandi è perciò formare combinazioni nuove, seguendo la legge del caso anziché quella della logica, usando la stampa digitale su grandi formati e rilavorandoci successivamente per ulteriori stratificazioni.

Lorenzo Marini

Poi, con il curatore Sabino Maria Frassà, già prima di “AlphaCube”, si parlava spesso del mio lavoro di linguaggio e comunicazione, dell’ascesa dell’emoticon e dell’ultima trasformazione della comunicazione.  Così lui mi ha chiesto perché non trasportassi queste mie riflessioni su tela: in questo modo è nata la mostra milanese “Out of Words“. Era perfetta per il nuovo ciclo di mostre Gaggenau On Air, che esplora appunto come “il presente sia il futuro del passato”. Ora non so cosa mi capiterà e cosa inventerò, ma è il bello della vita e dell’arte. Renoir ha detto: “Una mattina, siccome uno di noi aveva finito il nero, si iniziò ad usare il blu. Così è nato l’impressionismo.”

Un consiglio per i giovani artisti?  Lorenzo Marini

Solo un consiglio: non mollare mai. Never give up. Un santo è un peccatore che non si è mai arreso.